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Zoom per Mac corregge il bug che teneva i microfono accesi

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Conviene aggiornare Zoom su Mac, quantomeno per chi tiene un minimo alla propria privacy: l’aggiornamento pubblicato a fine gennaio va infatti a correggere un bug che lasciava i microfoni accesi al termine delle videochiamate. Se ne era accorto un utente qualche tempo fa, segnalando nel forum della community che aveva notato l’indicatore del microfono acceso anche quando non era in videoconferenza, ma con l’app semplicemente aperta in background; un’occhiata al Centro di controllo gli aveva fatto poi scoprire che era proprio l’app di Zoom che stava accedendo al microfono.

Nel forum di Zoom in realtà si susseguono diversi messaggi di altrettanti utenti che segnalano la stessa cosa. Un membro dello staff dell’azienda sta rispondendo a tutti in questi giorni con la medesima spiegazione, ovvero che con la versione di Zoom per Mac numero 5.9.3 rilasciata il 25 gennaio scorso viene risolto il problema in cui «la spia arancione (ora visibile grazie a una nuova impostazione per la privacy introdotta da Apple con macOS Monterey, ndr) potrebbe continuare ad apparire dopo aver lasciato una riunione, una chiamata o un webinar».

Il consiglio – scrive – è di aggiornare per correggere il bug e attivare gli aggiornamenti automatici in modo tale da esser certi di ricevere prontamente le future versioni non appena saranno disponibili.

 

zoom

C’è comunque da star sereni perché sebbene questo problema aveva sollevato la preoccupazione che il microfono potesse essere usato all’insaputa dell’utente per spiarlo, secondo le indagini condotte dall’azienda il bug di Zoom su Mac non ha comportato alcuna trasmissione dei dati audio.

Non è la prima volta che Zoom incontra seri problemi di privacy: in passato ad esempio ha affermato che le riunioni erano protette con crittografia end-to-end nel 2016, mentre in realtà ha iniziato a implementare la funzione soltanto nel 2020. L’anno scorso gli è andata persino peggio, perché ha dovuto sborsare 85 milioni di dollari per risolvere una causa legale che la vedeva accusata di violare la privacy consentendo ai cosìddetti troll di entrare nelle chat in quella che è divenuta una pratica nota nel settore con il termine di “zoombombing”.

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