Yahoo ha deciso di dire addio ai suoi servizi in Cina, lamentando quello che definisce un ambiente commerciale e legale “sempre più difficile”.
Il ritiro è più che altro simbolico giacché già dal 2015 Yahoo! aveva chiuso i suoi uffici e ridotto i vari servizi offerti.
La mossa di Yahoo fa seguito a una iniziativa simile da parte di Microsoft che lo scorso mese ha deciso di chiudere Linkedin in Cina, lamentando l’impossibilità ad operare in un ambiente diventato sempre più difficile dal punto di vista operativo anche per via di requisiti sempre più stringenti richiesti da Pechino.
A marzo di quest’anno, l’authority locale che vigila su internet aveva imposto ai vertici di LinkedIn di regolare meglio i propri contenuti, dando 30 giorni di tempo.
LinkedIn aveva evidenziato che diversi profili di attivisti per la difesa dei diritti umani, di accademici e di giornalisti erano stati bloccati da Pechino, accusati di diffondere contenuti vietati.
“Yahoo rimane impegnata per i diritti dei nostri utenti e per internet libera e aperta”, ha dichiarato l’azienda USA ll’Associated Press, ringraziando gli utenti per il supporto.
Da lunedì 1° novembre in Cina è in vigore la legge sulla protezione dei dati personali (PIPL), normativa ispirata al GDPR europeo, pensata per armonizzare le politiche cinesi in materia di privacy, fino ad oggi piuttosto frammentate. Tra gli obblighi delle aziende che operano in Cina, la necessità di conservare sul territorio dati di utenti cinesi.
Tra le aziende che devono tenere conto delle nuove norme c’è anche Apple. In Cina, dal 2018 la Mela ha già dovuto consegnare “le chiavi” di iCloud al governo locale, conseguenza della necessità di conformarsi alle locali leggi sulla cybersicurezza in base alle quali qualsiasi azienda è obbligata a memorizzare i dati su server fisicamente presenti nella Repubblica Popolare Cinese.