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Contro i dazi la web tax, Apple è nel mirino, ma il conto potrebbe arrivare a tutti

Dopo i dazi imposti dagli Stati Uniti, per Apple, già colpita negli Stati Uniti,  si profila una nuova grana in Europa. Non si tratta di tasse sulle importazioni, ma del ritorno di una proposta fiscale a lungo discussa: la web tax.

Inizialmente concepita per garantire una maggiore equità fiscale nei confronti dei giganti della Silicon Valley, tra cui Apple, la web tax è tornata alla ribalta come possibile contromisura alle politiche commerciali statunitensi. Secondo diverse fonti, potrebbe essere introdotta in sostituzione o in aggiunta a un pacchetto di contromisure commerciali dell’UE del valore di circa 26 miliardi di euro, previsto per entrare in vigore a metà aprile.

Gli economisti di Bruxelles ritengono che l’implementazione della web tax sarebbe meno onerosa per i cittadini europei rispetto ai tradizionali dazi, pur contribuendo a riequilibrare gli effetti delle misure americane.

Cos’è la web tax?

Ma che cosa è la web tax? Si tratta di una tassa pensata per far pagare le grandi piattaforme digitali – come quelle di Apple o Amazon – nei paesi in cui effettivamente generano profitti, anche se non hanno una sede fisica.

Il bersaglio? I giganti del web che, pur guadagnando miliardi in Europa, riescono a pagare tasse minime grazie a sedi in paesi più convenienti come fa Apple.

L’impatto su Apple e altre big tech

Apple genera miliardi di euro in Europa attraverso il suo ecosistema di servizi digitali, tra cui App Store, Apple TV+ e iCloud. Attualmente, gran parte di questi ricavi viene tassata in paesi con fiscalità vantaggiosa, come l’Irlanda. L’introduzione di una web tax a livello europeo comporterebbe un’imposta proporzionale ai ricavi effettivamente generati nei singoli mercati nazionali, incidendo significativamente sui margini di Cupertino nel continente.

Anche Amazon sarebbe interessata da questa misura. Oltre alle attività di e-commerce, il colosso guidato da Andy Jassy è protagonista nel mercato europeo dello streaming con Prime Video e, soprattutto, nel settore del cloud computing con AWS, un servizio cruciale per enti pubblici e imprese. La nuova web tax potrebbe colpire direttamente questi ricavi, così come quelli di altri player come Google Cloud, Microsoft Azure e Meta.

Netflix rappresenta un ulteriore esempio. Pur non avendo una presenza fisica in molti paesi dell’UE, raccoglie abbonamenti da milioni di utenti europei. L’attuale struttura fiscale consente di concentrare i ricavi in poche sedi centrali, ma la nuova normativa potrebbe redistribuire il carico fiscale secondo una logica di “presenza economica effettiva”.

Dettagli tecnici della proposta

La proposta di web tax si applicherebbe alle aziende con oltre 750 milioni di euro di fatturato globale e almeno 50 milioni di euro generati in Europa. Sebbene formalmente neutra, questa misura interesserebbe principalmente aziende statunitensi.

Chi pagherà davvero il conto web tax

Ma cosa farebbe l’Europa con i soldi della web tax? Tra le ipotesi: sostenere i settori più colpiti dai dazi USA – come acciaio e agroalimentare – creare un fondo per rispondere a nuove tensioni commerciali, oppure investire in tecnologie digitali per rafforzare l’autonomia europea.​

Insomma un’Europa che cerca di difendere la propria economia senza accendere nuove guerre commerciali, la web tax potrebbe rivelarsi più di una semplice tassa: un segnale politico, un gesto di autonomia, forse anche un modo per ristabilire un equilibrio tra chi produce valore e chi lo raccoglie.

Ma ogni scelta ha un prezzo. Se Apple, Amazon, Netflix e gli altri colossi dovranno rivedere i loro conti in Europa, l’effetto potrebbe ricadere anche su abbonamenti, servizi e app che usiamo ogni giorno.

Una risposta ai dazi, sì, ma anche una domanda aperta: chi pagherà davvero il conto di questo braccio di ferro digitale?

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