Parafrasando la popolare formula usata dai poliziotti americani che potete ascoltare in molte serie TV e film USA: «ogni vostro emoticon potrà essere usato contro di voi». La frase viene alla mente scorrendo una notizia di Wires secondo cui gli emoticons sono sempre più spesso utilizzate come indizi e prove per poter incriminare le persone che ne fanno uso all’interno di comunicazioni.
E’ successo a Osiris Aristy, che su Facebook aveva postato un messaggio contenente l’emoticons di un poliziotto seguito da quelle di tre pistole puntate verso di esso, aggiornamento di stato con cui si era guadagnato un arresto per minacce nei confronti delle forze dell’ordine; c’è anche il caso di Anthony Elonis, arrestato con l’accusa di aver esercitato violenza alla moglie con alcuni post su Facebook. Infine il più popolare caso di Ross Ulbricht, coinvolto nello scandalo di Silk Road, sito abusivo dove era possibile vendere ed acquistare droga e prodotti di contrabbando: il giudice ha invitato i giurati a considerare anche le emoticons incluse nella comunicazioni scritte come elementi di accusa.
E’ quindi evidente come ormai le “faccine” non siano più considerate delle semplici decorazioni alla comunicazione scritta, ma siano ora giuridicamente interpretabili come parti integranti del flusso comunicativo, in grado di esprimere intenzioni e significati che possono essere usati per determinare la volontà d’azione da parte delle persone. In un tipo di comunicazione testuale, priva di feedback in tempo reale e dove spesso le frasi possono essere interpretate in maniera scorretta, le emoticons giocano sempre più un ruolo rivelatore. D’ora in poi, dunque, attenzione non solo a quello che scrivete ma anche alle emoticons che usate.