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Dal Bulli di Steve Jobs a ID.Buzz, da 75 anni il furgoncino Volkswagen rivoluziona non solo la mobilità

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Nella primavera del 1976 un giovane visionario di 21 anni prese la decisione che avrebbe cambiato il corso della storia tecnologica: vendere il suo Volkswagen, un furgoncino che all’epoca era già un simbolo della controcultura californiana. Steve Jobs sacrificò il suo amato Bulli (è questo il nome ufficiale di quello che in Italia a lungo è stato chiamato “furgoncino”) per raccogliere 1.300 dollari, la somma necessaria ad avviare quella che sarebbe diventata una delle aziende più rivoluzionarie al mondo. Una scelta apparentemente banale che racchiude però un intreccio simbolico perfetto: il veicolo che rappresentava la libertà della generazione hippie diventava il trampolino di lancio per una nuova era digitale.

Quel gesto, tanto semplice quanto significativo, rappresenta solo uno dei mille modi in cui il Volkswagen Transporter, conosciuto come “Bulli” secondo il marketing dell’azienda automobilistica tedesca, ha attraversato e influenzato la storia degli ultimi 75 anni. Quel furgoncino non era solo un mezzo di trasporto, ma un vero e proprio manifesto culturale su ruote. Anche perché la genesi del Bulli ha del miracoloso, soprattutto se si pensa alle macerie fisiche e morali dell’Europa post-bellica.

Tutto iniziò con un semplice schizzo del 1947 tracciato sul taccuino di Ben Pon, importatore olandese della Volkswagen, che immaginò un veicolo compatto con il motore posteriore. Quell’idea, tanto semplice quanto rivoluzionaria, trovò la sua realizzazione nel 1950 quando a Wolfsburg uscì dalla catena di montaggio il primo esemplare di Tipo 2. Un veicolo senza precedenti che, con la sua forma a “filone di pane”, si distingueva nettamente dai macchinoni americani e dalle utilitarie europee del tempo. Il nome “Bulli” – contrazione di “Bus” e “Lieferwagen” (furgone) – gli fu affibbiato quasi per caso, ma sarebbe diventato il soprannome più evocativo per generazioni di appassionati.

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Nessuno avrebbe potuto immaginare che quel mezzo nato per soddisfare esigenze pratiche si sarebbe trasformato in un’icona culturale globale. Con il suo caratteristico muso piatto e il grande logo Volkswagen in bella vista, l’antitesi di un profilo aerodinamico, il Bulli divenne il simbolo della generazione beat prima e hippie poi. La versatilità era il suo punto di forza: furgone per gli artigiani, minibus per le famiglie, camper per gli spiriti liberi. A Woodstock, nel 1969, i coloratissimi Bulli parcheggiati nel fango divennero parte integrante dell’immaginario collettivo, tanto quanto le note di Hendrix o gli abiti psichedelici. I giovanotti con capelli lunghi e chitarre ne fecero la propria casa mobile, dipingendoli con motivi floreali e messaggi di pace, trasformando un veicolo commerciale in un manifesto itinerante di libertà.

Una storia in sette atti

La saga del Bulli si dipana attraverso sette generazioni dell’iconico veicolo tedesco, ognuna specchio fedele del proprio tempo. Il T1 originale (1950-1967) con il suo parabrezza diviso è oggi un pezzo da collezione che può raggiungere quotazioni superiori ai 100 mila euro. Se l’avete nel fienile della casa di campagna dei vostri nonni è il momento di portarlo a una casa d’aste e reinvestire il ricavato in Bitcoin. Il T2 (1967-1979) introdusse un parabrezza unico e miglioramenti sostanziali al telaio, diventando forse il modello più iconico e fotografato. Con il T3 (1979-1990) il design abbandonò le linee ispirate al Maggiolino (l’auto più famosa prodotta dalla Volkswagen, e con una storia che è un altro romanzo) per un aspetto più squadrato e moderno, ma sempre immediatamente riconoscibile come un Bulli.

La svolta radicale arrivò con il T4 nel 1990, quando Volkswagen rivoluzionò completamente l’architettura del veicolo. Addio al motore posteriore e benvenuta trazione anteriore, con impostazione classica che avvicinava il Bulli ai concorrenti più moderni. Una scelta coraggiosa che sacrificava parte dell’identità originale per guadagnare in praticità, spazio e prestazioni. Il T5 del 2003 elevò ulteriormente gli standard qualitativi, trasformando definitivamente il mezzo in un veicolo premium disponibile in configurazioni sempre più raffinate. Con T6 e T6.1 (dal 2015) è arrivata la digitalizzazione completa, inclusa la strumentazione interamente virtuale.

Oggi, mentre spegne le sue 75 candeline, il Bulli affronta la sua transizione più radicale: l’elettrificazione. E non è cosa da poco. L’ID.Buzz rappresenta il settimo capitolo della saga, un ritorno alle origini nel design che guarda però al futuro con propulsione elettrica. Osservando il frontale dell’ultimo nato di casa Volkswagen, è impossibile non notare il richiamo all’antenato originale, in un gioco di rimandi che attraversa tre quarti di secolo. La forma a “filone di pane” resta, così come la versatilità che ha sempre contraddistinto il modello, ma sotto il cofano non c’è più il rumoroso motore boxer bensì un silenzioso propulsore elettrico.

Dal Bulli di Steve Jobs all'ID.Buzz sono 75 anni che il furgoncino Volkswagen ha rivoluzionato non solo la mobilità - macitynet.it
Dal Bulli di Steve Jobs all’ID.Buzz sono 75 anni che il furgoncino Volkswagen ha rivoluzionato non solo la mobilità

Il futuro di un’icona

È difficile trovare un altro veicolo che abbia saputo incarnare così tanti significati e attraversare culture così diverse. Il Bulli è stato allo stesso tempo simbolo di libertà per i nomadi della controcultura e strumento di lavoro affidabile per artigiani e commercianti. Ha trasportato famiglie in vacanza e musicisti in tour, è stato casa mobile per viaggiatori e ufficio itinerante per professionisti. Nelle mani degli appassionati è diventato oggetto di culto, protagonista di raduni internazionali dove migliaia di persone condividono molto più di una passione automobilistica: celebrano un modo di vivere, un’idea di libertà e di comunità che trascende il semplice mezzo meccanico.

Dalla nascita di Apple alimentata dai fondi ricavati dalla vendita del Bulli di Jobs (e dalla calcolatrice elettronica HP di Steve Wozniak) fino all’AI che oggi gestisce la ricarica ottimale dell’ID.Buzz, il cerchio si chiude. Il veicolo che ha accompagnato intere generazioni in cerca di libertà continua il suo viaggio. Mutando forma e tecnologia, ma conservando intatto lo spirito originale. Quello stesso spirito che 75 anni fa ispirò Ben Pon a tracciare su un taccuino le linee di un veicolo che avrebbe cambiato per sempre non solo la mobilità, ma il mondo intero. E definendo una volta per tutte il passaggio di testimone simbolico tra il mondo hippie della Summer of Love e quello techie della Silicon Valley.

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