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Voglia analogica di Leica: Edition 60 senza display, no automatismi ma pellicola sulla M-A Typ 127

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Less is better, si potrebbe dire, parafrasando il detto dei minimalisti che proprio con il Bauhaus tedesco e con l’architetto Mies van der Rohe hanno toccato il culmine negli anni Trenta del surrealismo e della repubblica di Weimar. Ma la polemica scoppia lo stesso in rete. Leica, che aveva dichiarato di voler presentare una novità al giorno durante questo Photokina, si è già fatta in due: ha lanciato la versione “anniversary” realizzata dallo studio per li design di Audi della M (M Edition 60), con materiali raffinati, senza display posteriore e a un costo stellare (600 esemplari ciascuno con Summilux 50mm a 15mila euro) e poi la “nuova” M-A Typ 127, totalmente analogica, senza alcuna complicazione elettronica (niente batteria, niente esposimetro, nessun controllo digitale) a 4mila euro.

Facciamo un passo indietro e vediamo cosa sta succedendo. La serie M è quella che dal dopoguerra – per la precisione da 60 anni contando il 1954 di cui adesso cade l’anniversario – ha fatto la storia di Leica. La casa nata a metà dell’ottocento per realizzare microscopi e strumenti ottici aveva avuto all’inizio del Novecento una grandiosa intuizione grazie al suo capo della ricerca, Oskar Barnack. Questi, appassionato di fotografia e di montagna, ma anche sofferente di asma, non voleva più scalare gli alpeggi portandosi dietro gli apparecchi grande formato con treppiede e cassa in legno pesante decine di chili. Prese allora, esattamente cento anni fa, un metro e mezzo di pellicola per film da 35 millimetri (quanta se ne stendeva tra le due braccia) e ci costruì attorno un prototipo di macchina fotografica, la ur-Leica, cioè la Leica primordiale (Leica a sua volta vuol dire LEItz CAmera e si pronuncia alla tedesca, “Laica”).

La macchina venne presentata al pubblico solo undici anni dopo, nel 1925, causa interruzione della Prima guerra mondiale, ed entrò in produzione diventando il punto di riferimento della neonata fotografia a 35 millimetri. Scopo della Leica I e seguenti, basate su telemetro, compatte e sode, era essere “piccola, discreta, elegante, veloce e precisa”. Missione compiuta, la Leica è diventata la macchina di maggior successo per trent’anni, la più copiata (nella Russia sovietica, soprattutto) e ha costruito la fortuna dell’azienda. Che, alla fine degli anni Novanta era entrata in crisi, fino ad essere acquistata da un abile imprenditore, Andreas Kaufmann, che negli ultimi dieci anni la sta rilanciando alla grande.

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Lunga introduzione per capire il senso di questi due prodotti: edizioni speciali, celebrative, vincolate a un gusto per la fotografia anni cinquanta molto hipster che sta tornando (viste le Panasonic appena presentate a Photokina?) alleggerita dai fronzoli di trent’anni di reflex analogiche e poi digitali made in Japan, piene di pulsanti, menu, opzioni, funzioni. La fotografia e i suoi tre punti principali per l’esposizione (tempi, diaframma e ISO) diventavano solo un accessorio che si perdeva nella massa, lasciando nell’ignoranza i neofiti e complicando la vita ai professionisti. Il ritorno ai fondamentali combacia con lo spirito di Leica, che si è mantenuta costante nonostante le mode ai suoi fondamenti con la linea M, se non altro, basata su telemetro, e con pochissime ghiere e pulsanti anche nelle versioni digitali.

Leica però un po’ ci gioca anche, diventando un incrocio tra una Apple del marketing e una Vertu del lusso estremo: la M-A Typ 127 è una macchina fotografica a pellicola idealmente uguale alla M3 del 1954, cioè priva di qualsiasi elettronica. Ma questa purezza, che pure coglie il bisogno di tornare alla pellicola per reimparare i fondamentali anche nell’era digitale, è relativamente necessario. Una macchina con esposimetro ha senso ad esempio per le diapositive a colori, in cui la regola di f/16 (che gli anglosassoni chiamano Sunny 16 rule) non basta neanche a Superman. E questo non vuol dire che, a batteria esaurita (piccole batterie da orologio per l’esposimetro, che durano mesi o anni) non si possa lavorare lo stesso, visto che non impattano su otturatore, messa a fuoco o diaframma. Comunque, quando si viaggia verso la pellicola in questo momento storico non si sbaglia mai, quindi chapeau per Leica, anche se le macchine “storiche” come M3 e M2 (ma anche M4) funzionano perfettamente pur senza costare quella cifra.

Il discorso cambia per il “compleanno” della serie M, la Edition 60. La macchina è sostanzialmente una M-P (a sua volta edizione migliorata della M Typ 240 nata tre anni fa) rivista dal centro design di Audi. Sono seicento esemplari con scatola extralusso e video di Leica che mostra un modello brizzolato che fa unpacking con guanti bianchi da orologiaio: si capisce che la destinazione non è lo spallaccio a cui appenderla per scattare ma qualche cassetta di sicurezza di ricchi collezionisti o speculatori attenti. La macchina più l’obiettivo (Summilux 35,, f/1,4) costa in tutto 15mila euro, ingiustificabili sia da un punto di vista tecnologico che per i materiali “esotici” (in realtà una normalissima lega di acciaio inossidabile spazzolato).

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L’unicità è nella mancanza di tutti i consueti canali di visione: niente display, niente menu, niente porta USB. Nel retro c’è solo una ghiera per settare gli ISO, la velocità dell’otturatore e l’esposizione si regola dal dorso, la macchina scatta solo immagini in RAW (Dng, per essere esatti) con il suo sensore full frame da 25 megapixel identico a quello delle sue due sorelle (M typ 240 e M-P). Unica concessione all’elettronica: una microscopica luce rossa che lampeggia quando il processore sta scrivendo i dati sulla SD, cosa che indica l’imperativo di non aprire il fondo della macchina per estrarne la SD stessa.

Certamente l’esperienza zen dello scatto con telemetro ne guadagna grandemente, ma c’è anche da dire che in questo modo le funzioni del fotografo – schiacciato in questo ibrido digitale con l’interfaccia analogica – rimangono davvero in dubbio. Si può solo selezionare l’iSO (da 200 a 6400), la velocità di scatto (fino a 4000 di secondo o con priorità di apertura), il diaframma e la messa a fuoco. Ostacoli artificiali tra l’uomo e lo scatto della macchina non ce ne sono sicuramente più, tranne uno: il prezzo: 15000 euro

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