Essere o non essere. Questo è il problema.
L’inizio di Amleto descrive perfettamente la situazione in cui si trova Apple quando si parla di visori di realtà virtuale. Da una parte c’è il fallimento, ormai conclamato, di Vision Pro di cui si fa una versione aggiornata solo per smaltire i pezzi; dall’altra la tentazione di rilanciare fortemente con nuovi prodotti che, prendendo le mosse dalle meraviglie tecnologiche del primo modello, possano dare un senso ai miliardi di investimenti pompati nel progetto.
Dell’argomento si occupa oggi Mark Gurman nella sua newsletter domenicale Power On, che parte dal processo di riorganizzazione del team di sviluppo, oggi di fatto smantellato nella sua particolarità. Una squadra “indipendente”, con ingegneri hardware, sviluppatori software, esperti di servizi e prodotto, tutti sotto un’unica leadership. Una struttura anomala per gli standard di Cupertino.
Secondo Gurman, questa operazione deve essere intesa non come il segno che Apple dopo la morte del Vision Pro abbandona il progetto, ma come l’indicazione che ora è nel flusso regolare di sviluppo, come è già successo in passato con iPhone, iPad e Apple Watch, con l’obiettivo di dargli un successore.
Uno di questi eredi già lo conosciamo: è un visore più leggero ed economico, pensato per eliminare i due maggiori problemi del modello attuale (peso e prezzo). Poi c’è una seconda versione, collegata a un Mac, proposta per un mercato professionale, tra cui quello dei simulatori, della medicina e della progettazione.
Nel frattempo, Apple sta anche studiando applicazioni specifiche in cui il Vision Pro già oggi ha senso: come monitor virtuale in 5K o come strumento per analisi avanzate di immagini.
Si tratterebbe di una prima pietra, un passo intermedio verso quello che è il vero sogno di Apple: un paio di occhiali, leggeri, comodi, indossabili tutto il giorno e capaci di mostrare informazioni sul mondo reale, rispondere a comandi vocali, integrarsi con Siri, Apple Maps, l’App Store. Un dispositivo “magico”, come fu l’iPhone nel 2007.
Tim Cook non ha mai nascosto questa ambizione. Secondo Gurman, è il suo progetto prioritario, quello su cui passa la maggior parte del suo tempo. Ed è proprio lì che si gioca il futuro.

Ma la strada è lunga: le tecnologie necessarie — display microscopici, chip super efficienti, batterie invisibili, nuove interfacce utente — sono ancora in fase di sviluppo. Senza contare la questione privacy: Apple dovrà decidere se permettere agli occhiali di scattare foto o video, come fanno i prodotti di Meta e Snap. Un tema delicato, che tocca l’identità stessa del marchio.
In definitiva, non sappiamo ancora quando il sogno di Cook si materializzerà, ma una cosa è certa: Apple ha già tutto quello che serve per giocarsela fino in fondo. Ha i chip più efficienti del mercato, un know-how software invidiabile, una capacità produttiva colossale e soprattutto un App Store che può dare senso e utilità a qualsiasi dispositivo.
Il punto, ora, non è se riuscirà a farli. È quando e come riuscirà a farli meglio degli altri. Perché là fuori la concorrenza non sta ferma: Meta continua a investire in visori e occhiali smart, Snap porta avanti i suoi esperimenti con lenti intelligenti, e sta arrivando un’intera generazione di dispositivi basati sul nuovo sistema operativo XR di Google.