Apple negli Stati Uniti corre il rischio di finire sul banco degli imputati per infrazione della privacy degli utenti dei suoi dispositivi mobili. Una causa legale che si basa sul fatto che iPhone, iPod touch e iPad invierebbero senza chiedere alcuna autorizzazione informazioni sensibili è stata intentata nei giorni scorsi in un tribunale di San Josè, nei pressi di Cupertino.
In base a quanto si apprende da Bloomberg, la parte lesa (un certo Jonathan Lalo della contea di Los Angeles che rappresenta il primo firmatario di un procedimento che vorrebbe trasformarsi in un causa collettiva) accusa Apple di avere fatto in modo che l’identificativo dei dispostivi (UDID) che è usato, tra l’altro, per la registrazione delle applicazioni e per impedirne la copia, possa essere impiegato anche per elaborare statistiche non del tutto anonime su storico della navigazione, gusti personali e preferenze sessuali e orientamento politico, modi d’impiego dei dispositivi stessi. Questo aspetto sarebbe aggravato dal fatto che alcuni sviluppatori sfrutterebbero questa funzione per vendere ad inserzionisti dati demografici e statistici senza chiedere il preventivo permesso ai loro utenti.
La causa è l’evidente conseguenza di un articolo apparso nelle passate settimane sul Wall Street Journal che aveva affrontato l’argomento che tocca da vicino anche la piattaforma Android; secondo il WSJ l’UDID e il parallelo sistema usato da Google con Android, di fatto sono una sorta di “super-cookie” ineludibile da parte dell’utente, che non può scegliere di bloccarli, né cancellarli. Restano sempre a disposizione di chi li vuole usare per statistiche, siano essere legittime e raccolte con il consenso dell’utente che non legittime, perché assemblate in background senza farne richiesta e spesso anche senza motivo reale se non propositi di marketing. Anche se Apple e Google non sembrano avere fatto un uso illegale del sistema per i loro scopi interni, non ci sono garanzie che il quasi libero accesso agli identificativi univoci dei telefoni non sia stato sfruttato per raccogliere dati in maniera non legale da parte di sviluppatori poco scrupolosi.
Oltre che nel quadro di una giusta preoccupazione per la tutela della privacy, la vicenda deve essere vista anche nel contesto della particolare legislazione americana che incentiva questo tipo di cause collettive che spesso sono intentate da studi legali specializzati nel trovare “sul mercato” prodotti o servizi che possono essere l’obbiettivo di cause. Una volta raccolta una buona quantità di persone intenzionate ad aderire ad esse l’obbiettivo è quello di fronteggiare l’azienda messa nel mirino e di estorcerle a suon di sedute in tribunale o con una trattativa, la maggior quantità di denaro possibile; ai singoli sottoscrittori della causa solitamente va qualche decina di dollari, ma gli studi legali lucrano milioni per la loro “consulenza”.