Fitness tracker e cardiofrequenzimetri sono utili ma per seguire particolari attività che avvengono all’interno del corpo, queste soluzioni non sono altrettanto comode. Iota Biosciences, un’azienda biotecnologica statunitense, intende sviluppare minuscoli sensori impiantabili, grandi pochi millimetri, in grado di rimanere in modo pressoché permanente all’interno del corpo e trasmettere via wireless ciò che identificano.
Un fondo da 15 milioni di dollari, spiega il sito TechCrunch, ora potrebbe consentire all’azienda biotecnologica di raggiungere l’obiettivo. Il team è nato da ricerche presso l’Università della California, Berkeley, dove i co-fondatori Jose Carmena e Michel Maharbiz hanno lavorato per migliorare la precisione dei microelettrodi.
Dispositivi di questo tipo sono sfruttati per la registrazione di segnali neurali o la stimolazione elettrica del tessuto nervoso. Un array di microelettrodi consente, ad esempio, di individuare segnali di crisi epilettiche, e pressi del cuore verificare in modo preciso il ritmo cardiaco tenendo conto dei tessuti ventricolari.
Benché il loro nome suggerisca il contrario, i microelettodi non sono così piccoli. Le punte collegate a micropipette sono piccole ma queste devono essere spesso collegate a macchinari più grandi o alimentate da batterie, e di rado è possibile farle rimanere nell’organismo per più di qualche settimana o mese a causa di complicazioni varie a esse associate.
Inizialmente l’idea di Carmena e Maharbiz era di sfruttare le differenti lunghezze d’onda dell’attività cerebrale ma la ricezione di queste comporta varie complicazioni. Successivamente i ricercatori hanno pensato di sfruttare gli ultrasuoni, scelta che consente di realizzare dispositivi semplici ed estremamente piccoli, talmente minuscoli che è possibile collegarli a un singolo nervo o fibrocellula. Già in passato il gruppo di ricercatori si era fatto notare per lo sviluppo del quadro tecnico per dimostrare la potenziale scalabilità della tecnologia a ultrasuoni per i dispositivi impiantabili.
Inviando un flusso costante di impulsi, il sistema ideato dai ricercatori consente di raccogliere in modo non invasivo varie tipologie di dati, permettendo di monitorare ad esempio il tessuto cardiaco o controllare protesi. E poiché sono n grado di fornire anche cariche di tensione, potrebbero essere sfruttati anche per fini terapeutici. Le applicazioni iniziali prevedono l’uso nell’ambito del sistema nervoso periferico; sono possibili anche altre applicazioni ma bisognerà attendere il placet della Food and Drug Administration (“Agenzia per gli alimenti e i medicinali”, abbreviato in FDA), l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici.
Gli ultrasuoni non creano problemi al corpo e i sensori in questione possono essere realizzati con materiali relativamente semplici. Al contrario di quanto avvien con dosatori di farmaci, pompe di insulina e pacemaker, “l’installazione” è semplice e facilmente reversibile. Si può fare in laparoscopia o una piccola incisione delle pareti addominali.
I ricercatori lavorano sull’idea dal 2013 e i finanziamenti raccolti potrebbero portare alla creazione di un prodotto da presentare alla FDA. In futuro sarà probabilmente normale avere nel corpo vari sensori microscopici di questo tipo. Saranno necessari ancora anni di test e verifiche ma l’idea sembra avere le carte in regola per affermarsi come dirompente in vari campi della medicina.