Apple risponde, ma non risponde, ai dubbi che erano stati avanzati rispetto al ritiro dei suoi prodotti dal registro EPEAT, l’ente americano che si occupa di cerficare l’ecosostenibilità dei prodotti elettronici. La replica fornita a The Loop del sempre ben ammanigliato Jim Dalrymple, uno dei portavoce ufficiosi di Cupertino, è infatti molto generica e anche se dietro ad essa si trova conferma al fatto che è l’impossibilità per il reparto ingegnerizzazione di Cupertino di fare fronte alle nuove esigenze di design, la principale ragione di addio allo standard che Apple stessa aveva contribuito a fondare, non si ha alcuna indicazione su come la Mela possa fare fronte a necessità come un facile recupero delle sostanze tossiche contenute in ogni suo computer, che abbracciano ora linee di design particolarmente complesse da questo punto di vista.
«Abbiamo – si legge nella nota stilata da Kristin Huguet – un approccio compressivo alla misurazione del nostro impatto ambientale e tutti i nostri prodotti rispondono e rispettano Energy Star 5,2, il più vincolante standard energetico sostenuto dal governo americano. In aggiunta a questo siamo leader nell’industria in quanto forniamo per ogni prodotto le emissioni di gas serra. Ogni prodotto Apple è superiore in tutte le aree di impatto ambientale non misurate dall’EPEAT, come la rimozione dei materiali tossici». Insomma, gli standard EPEAT sono importanti, sembra dire Apple, ma non sono tutto quello che serve per capire se un prodotto è ecosostenibile; esistono altri aspetti non misurati, ma altrettanto importanti «e noi li rispettiamo tutti», si legge tra le righe.
Che l’EPEAT non sia più adeguato a comprendere interamente il settore di ecocompatibilità è certo, visto che ad esempio non valuta aspetti come consumo energetico e quindi emissione di gas serra; non vengono neppure presi in considerazione i dispositivi mobili che sono il nucleo portante della produzione Apple e oggi probabilmente uno dei fattori di maggior inquinamento da parte dlel’elettronica di consumo, ma è altrettanto vero che un prodotto EPEAT è certamente riciclabile e smaltibile in maniera differenziata con pochissimi sforzi, addirittura da parte di un utente con buona manualità. Oggi invece alcuni prodotti Apple, come il MacBook Pro Retina, cosa valida in futuro anche per diversi altri computer e dispositivi, è di fatto impossibile da smaltire in maniera differenziata se non si hanno strumenti specializzati visto che, ad esempio, lo schermo non è separabile dal coperchio in alluminio e la batteria è incollata alla scheda madre, per non dire dell’uso di viti speciali. In termini pratici questo significa che solo Apple o qualche realtà che verrà incaricata da Apple sarà in grado di evitare che i MacBook Retina abbiano quale tappa finale della loro vita operativa un deposito di rifiuti tossici e speciali per un costoso trattamento. E non è detto che tutti i clienti a tutte le latitudini abbiano la voglia o la pazienza di ricorrere alla filiera di riciclo istituita da Cupertino, per tacere del fatto che questa filiera in alcuni paesi è piuttosto complessa da attivare e in altri paesi ancora non esiste.
Tutto questo è certamente ben presente a Cupertino ed è la ragione per cui alcuni osservatori ritengono che Apple promuoverà qualche altro standard simile ad EPEAT o aprirà nuovi canali per il recupero dei suoi dispositivi. In fondo un Mac, come tutti i computer, anche non più funzionante è una piccola miniera d’oro in termini di riutilizzo di componenti e materiali, anche se si deve trovare un sistema per riutilizzarne gli elementi con un favorevole rapporto tra costi e ricavi.