Una premessa. Ci sono tante parole per dirlo, che mostrano tra le altre cose le differenti connotazioni possibili del termine: gratis (che in italiano non si usa), gratuito, senza pagare, mangiapane a ufo, portoghese (che ha una connotazione ovviamente scorretta e razzista), freeriding, a sbafo, a scrocco, a ufo, in dono, per grazia ricevuta, senza compenso, non retribuito. E ancora altri non abbiate paura. In generale però il concetto è semplice: ottenere qualcosa senza doverlo pagare, si tratti di bene o servizio. Nel mondo delle reti digitali è stata a lungo la regola e il suo profeta è stato Google.
L’ex direttore di Wired Usa, Chris Anderson, ci scrisse addirittura un libro sopra, “Free” che parlava del modello “freemium”, cioè quello in cui ti regalano qualcosa (5 Gb di spazio, l’accesso alla posta online) ma se vuoi qualcosa di più poi devi pagare. L’idea è che basta che paghino alcuni e si copre il servizio per tutti con anche un margine. Poi c’è chi ha esagerato. E ci siamo chiesti i motivi. Adesso arriviamo al dunque.
Senza fine
Seconda premessa. Ricordate lo storage senza fine per le foto di Google? Adesso non c’è più, è finito. Come nella peggiore storia di rimodulazioni tariffarie delle nostre compagnie di telefonia fedifraghe, Google “ha cambiato idea” e adesso si paga sopra una certa soglia. Come mai? Perché in realtà quei dati, quelle foto, servivano come big data per l’addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale. Completati gli addestramenti, risolti i problemi che c’erano dietro, non serve più e il costo che Google doveva sostenere per lo storage infinito non era più sostenibile (cioè non era più imputabile a un centro di costo) e si doveva tagliare.
Adesso, accade una cosa simile per quanto riguarda la trasformazione di una piattaforma strategica per Google: la G-Suite, ribattezzata nel 2020 Google Workspace. Cioè il “futuro del lavoro” che è stato di recente riorganizzato e rimesso “in forma”, nel senso che Google sta cercando di dare una struttura diversa alla sua suite della produttività tutta nel cloud per continuare a contrastare Office di Microsoft e in generale sfruttare la trasformazione epocale introdotta dalla pandemia.
Adesso si paga
Quello che è successo è che adesso Google vuole che tutti paghino. La storia è semplice: nel 2006 Google introdusse le sue Google Apps per la scuola e le aziende. Era un primo tentativo di dare un colpo al monopolio di fatto nei formati e negli strumenti di Microsoft. Nel 2012 Google le cancellò e creò una struttura più organica, la G Suite.
Le aziende e le scuole stavano usando una infrastruttura cloud che diventava sempre più interessante e articolata, anche complessa. “Dietro”, nel backend, Google stava modificando il Google Engine e introducendo una serie molto ampia di novità. Gli account gratuiti delle Google Apps negli ultimi 15 anni non sono stati modificati, neanche quando la G Suite è stata cancellata nel 2020 e sostituita da Google Workspace. Finora, senza cambiamenti. Finora.
Cosa succede adesso
In una mail mandata ai vari amministratori dei sistemi che usano ancora le Google Apps l’azienda di Mountain View comunica che “tutti gli ultimi utenti rimanenti verranno spostati su Google Workspace con un account a pagamento basato sul loro tipo di utilizzo”. Rimangono gratuiti solo gli account dei Non profit e del settore Education Fundamentals (nel settore scolastico Google ha creato quattro livelli per il suo Workspace, con il primo “Fundamentals” gratuito e gli altri a pagamento: Standard, Upgrade e Plus).
Gli utenti delle Google Apps hanno avuto Gmail, Drive e Docs oltre alle altre app completamente gratuiti per un sacco di anni e adesso invece dovranno cominciare a pagare sostanzialmente per usare il proprio dominio personalizzato.
Entro il 1 maggio devono selezionare un piano (ci sono diversi livelli, ovviamente) oppure lo farà Google automaticamente per loro sulla base di quello che stanno attualmente utilizzando della G Suite legacy free edition.
La fine della festa
Google non vuole perdere clienti ma al tempo stesso ha deciso di portarli tutti “al di qua” della linea del gratuito se ci sono implicazioni professionali o lavorativi. Se vogliamo, questo è un passaggio epocale che trasforma un mondo che era in parte gratuito (in chiave di accelerazione della trasformazione digitale) in un mondo che invece è totalmente a pagamento. Google offre i primi due mesi e uno sconto per i primi 12, oltre a dare la possibilità di esportare tutti i dati aziendali con una serie di strumenti di esportazione.
Il problema per chi non vorrà rinnovare la suite trasformandola in un account a pagamento è che perderà tutti gli acquisti fatti ad esempio su Google Play.
Che la festa fosse arrivata alla fine si era capito da tempo, e la trasformazione della rete e del cloud in un sistema dove si ottiene quello che si paga è sempre più evidente. Non è neanche chiaro quanta gente effettivamente stesse ancora utilizzando le Google Apps, e se questo finale di migrazione è un evento epocale per numero di aziende o semplicemente un modo per chiudere dei server che gestiscono un servizio legacy che non viene più usato da nessuno.
Google da due anni sta ripulendo e integrando tutti gli aspetti della sua suite professionale (facendo fuori Hangout, ad esempio). L’obiettivo è stato accelerato certamente dalla pandemia che, oltre ad essere trasformativa per il modo con il quale si lavora, ha creato spazi di crescita molto ampi per i servizi cloud di vario genere. Ma c’è più in generale il bisogno di trasformare la parte professionale di Google in maniera che sia reattiva a un mondo in cui il cloud e la trasformazione digitale sono diventate la chiave e in cui Microsoft compete in maniera sempre più veloce e spietata.
Una cosa è certa: l’epoca dei pranzi gratuiti è finita. Gli utenti sono stati evangelizzati e attratti online. Google ha fatto marketing a lungo e in maniera molto efficace. Adesso è arrivato il momento di fare soldi.