I sostenitori della privacy mettono in guardia le donne negli USA spiegando che sono stati più volte segnalati casi di donne incriminate di praticare l’ aborto per il solo fatto di avere cercato questa parola e altri particolari termini sul web. Lo riferisce il Washington Post evidenziando alcuni casi nei quali sono stati sfruttati testi di ricerche online come prove contro donne che si trovano ora a dover affrontare accuse penali legate alla fine della loro gravidanza.
Le preoccupazioni in questione si aggiungono a quelle legate alla lettura dei dati di localizzazione degli utenti che visitano una clinica dove viene praticato l’operazione di aborto (Google ha ad ogni modo promesso che cancellerà automaticamente questi dati).
Le nuove preoccupazioni arrivano dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato il diritto federale all’interruzione volontaria della gravidanza. Democratici e i gruppi per i diritti umani paventano che informazioni personali sulle donne che hanno abortito e persone che le hanno aiutate possano essere usate contro di loro dai procuratori degli Stati conservatori che vietano l’aborto e per questo stanno chiedendo alle varie piattaforme di non memorizzare dati così personali, incluse le ricerche online di determinati termini e gli spostamenti.
Il Washington Post riferisce che forze di polizia e magistratura possono accedere facilmente a dati quali messaggi e cronologie di ricerche effettuate su telefoni e computer. Dati di persone comuni possono essere ottenuti con la volontà dell’utente e in caso di rifiuto con un mandato, e sembrano essere una miniera d’oro per le forze dell’ordine.
“La realtà è che ora facciamo di tutto con i telefoni”, spiega Emma Roth, legale d’ufficio della National Advocates for Pregnant Women. “Con la sorveglianza digitale, ci sono troppi, troppi modi con i quali le forze dell’ordine possono scoprire il percorso compiuto da qualcuno per una interruzione di gravidanza”.
Negli USA solo dal 2000 al 2021 sono oltre 60 i casi noti di persone indagate, arrestate o incriminate per avere posto fine alla propria gravidanza o avere assistito qualcuno, ma i casi in questione sono probabilmente molti di più, dal momento che a quanto pare è difficile accedere ai registri dei tribunali di varie contee del paese. In molti dei casi in questione, sono state sfruttate come prove i messaggi e le ricerche effettuate sul web.
Determinate leggi approvate ancora prima della sentenza della Corte Suprema, come quella del Texas di settembre, invitano i privati cittadini a citare in giudizio le donne sospettate di aver abortito o le persone che le hanno aiutate – compreso ad esempio l’autista di Taxi/Uber che le ha portate in clinica, ed è per questo che molti attivisti per la difesa delle donne chiedono a Google e altre aziende del mondo IT di non condividere queste informazioni con le agenzie governative.
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