Una multa da un miliardo di dollari per dimostrare che l’Europa fa sul serio contro la disinformazione e il clima di odio alimentato dalle piattaforme social: la sanzione la starebbe preparando l’UE e ad esserne colpita sarebbe X, l’ex Twitter che, dal momento dell’acquisto da parte di Elon Musk, ha smantellato ogni forma di controllo e moderazione dei contenuti.
L’Ue, spiega il New York Times che anticipa la notizia sulla base di indiscrezioni interne a Bruxelles, sanzionerebbe X in applicazione del Digital Services Act (DSA), la normativa che regola la responsabilità delle piattaforme digitali nel mercato europeo. Il DSA obbliga le grandi piattaforme a contrastare attivamente la disinformazione, a garantire trasparenza nella gestione dei contenuti e ad adottare misure efficaci per prevenire abusi.
A fianco del DSA esiste anche il Digital Markets Act (DMA), che riguarda invece il controllo sulle posizioni dominanti, come nel caso di Apple o Google.
Proprio in base al DSA, secondo le autorità europee, la piattaforma di Musk avrebbe mancato agli obblighi, rifiutandosi – tra le altre cose – di fornire dati agli osservatori indipendenti e di implementare strumenti efficaci di controllo sui contenuti problematici.

L’indagine su X, avviata nel 2023, dopo la scelta di abbandonare le politiche di moderazione imposte dall’Ue, ha rilevato un’insufficienza delle misure per contrastare la diffusione di contenuti illegali, i limiti del sistema di segnalazione e rimozione dei post, e la carenza di risorse dedicate alla moderazione.
Sotto esame anche l’efficacia del sistema “Community Notes”, giudicato inadeguato per prevenire manipolazioni informative, soprattutto nei momenti politicamente sensibili come campagne elettorali e dibattiti pubblici.
L’Ue segnala inoltre gravi carenze nella trasparenza sull’accesso ai dati da parte dei ricercatori, problemi nell’archivio pubblicitario e un possibile design ingannevole dell’interfaccia, in particolare per quanto riguarda i “bollini blu” associati agli abbonamenti.
Una prima valutazione preliminare si è conclusa nel 2024. Da qui la possibilità di applicare una multa calcolata in percentuale sul fatturato. Ma c’è un nodo: X non è un’azienda quotata, ma un’iniziativa commerciale controllata privatamente da Elon Musk.
Per questo motivo, le autorità potrebbero applicare una clausola del DSA che consente di estendere il calcolo della sanzione anche ai ricavi di altre società sotto lo stesso controllo, come SpaceX o Tesla.
Questa possibilità, già presa in considerazione, potrebbe far lievitare l’importo finale oltre il miliardo di dollari, e costituire un ammonimento ad altre aziende – Meta su tutte – sulla risolutezza nell’applicazione del nuovo impianto normativo europeo. L’Unione Europea, oltre alla sanzione, potrebbe anche imporre modifiche al “prodotto”.
Per continuare a operare nel mercato europeo, X dovrebbe tornare a moderare i contenuti, rimuovere le nicchie di disinformazione e hate speech, garantire accesso ai dati per la ricerca indipendente, rendere trasparente la gestione della pubblicità e introdurre controlli più stringenti sull’identità degli utenti verificati.
X è al centro di una seconda indagine europea, più ampia, che potrebbe sfociare in ulteriori sanzioni. Le autorità stanno costruendo un dossier che accusa la piattaforma di aver favorito con le nuove politiche la diffusione di odio, disinformazione e contenuti ritenuti lesivi per la democrazia nei 27 Paesi dell’Unione.

Il social network sembra pronto a resistere. Sulla scorta dell’ideologia e delle dichiarazioni Musk, che ha più volte criticato le politiche europee come una limitazione alla libertà di parola, la posizione ruota intorno alla tesi secondo cui le eventuali azioni sarebbero un “atto senza precedenti di censura politica e una minaccia alla libertà di espressione in Europa”. Lo stesso Musk ha già fatto sapere che intende contestare pubblicamente ogni penalità, creando così il rischio di un lungo scontro legale.
Anche se l’Unione da parte sua ha già mostrato la sua determinazione nel regolamentare le grandi aziende tecnologiche americane, come dimostrato dalle sanzioni imposte a Google, Apple, Amazon e Meta in passato.
Ma nel caso di X entrano in gioco anche altre valutazioni. Il proprietario di Tesla , è oggi a tutti gli effetti un membro del governo americano e ogni azione che lo colpisce potrebbe avere contraccolpi, soprattutto considerando le relazioni tese con gli Stati Uniti su temi come commercio, dazi e la guerra in Ucraina.
Va anche considerato che proprio i vertici del governo USA abbracciano inequivocabilmente le di idee di Musk sul cosiddetto “assolutismo della libertà di parola”. Nel suo primo viaggio in Europa il vicepresidente JD Vance ha attaccato frontalmente l’impianto normativo dell’Unione, definendo le politiche europee sulla regolazione delle piattaforme digitali “un pericoloso precedente per l’Occidente” e che “nessun governo dovrebbe decidere cosa può o non può essere detto online”.
Parole che hanno alimentato il sospetto, già forte a Bruxelles, che l’amministrazione Trump voglia trasformare la libertà di parola in un’arma politica anche nei rapporti con l’Europa. L’esito dell’indagine è atteso entro l’estate, salvo sviluppi nei negoziati ancora in corso tra Bruxelles e la piattaforma.
Ma il caso X è già diventato il primo vero test per capire se e quanto le nuove regole europee sul digitale siano applicabili nei fatti. Più che una multa, qui si gioca la capacità dell’Europa di far valere le proprie norme anche di fronte a soggetti che finora si sono mossi in autonomia, dentro e fuori dal mercato.
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