Sembra ieri. Ricordate com’eravamo? Si viveva in un mondo innocente, quello prima dell’11 settembre, fatto di cose tranquille, semplici: buoni odori, cibi genuini, sapori schietti. La new economy funzionava, non era ancora venuta fuori nessuna sbornia. C’era Windows (all’epoca ancora nella versione ME, la più terribile fino a oggi), c’era Unix, c’era Linux inventato neanche dieci anni prima da quel signore finlandese e poi c’era Mac OS 8, diventato poi 9. Era un sistema operativo antico, storico, valoroso, ma anche po’ zoppicante.
Uno scatolone di codice che cercava di sopravvivere in un mondo che stava cambiando fin troppo velocemente, epitome di una Apple che nell’epoca pre-ritorno di Steve Jobs: eredità stratificate di gente che non sapeva di preciso da che parte andare, zeppa di computer basati su processori e su tecnologie forse fin troppo stiracchiate.
C’erano i Performa e gli LC con mille nomi diversi che nessuno sapeva cosa perchè avessero quelle sigle visto che ce n’erano altri che facevano le stesse cose, solo con sigle diverse e c’era un sistema operativo della Apple andava in bomba. Zap! All’improvviso: bomba!. Colpa del paradigma tecnologico sul quale era costruito, obsoleto: niente memoria protetta, niente vero multitasking. Windows “normale” (quello che nasceva con 3.11 e 95, per intendersi) non poteva competere, ma quello che faceva parte di NT 4.0 e poi di 2000 era tutta un’altra cosa. E lo stesso si poteva dire di Linux, che nel deserto di un sistema “forte” stava acquistando credibilità come una alternativa possibile nel mondo desktop dei clienti.
Fu così che Apple, Gil Amelio, l’allora amministratore delegato, fece quella che per qualcuno è stata l’unica cosa giusta della sua carriera nella stanza dei bottoni a Cupertino. Unica, ma anche quella che ha cambiato tutto: mentre l’azienda era sull’orlo dell’agonia o forse già sul suo letto di morte pensò che poteva provare ad alzare la cornetta e chiamare Steve Jobs. Il fondatore della Mela aveva lavorato anni per costruire NeXT, il cui pezzo migliore era NeXTStep, il sistema operativo basato su due varianti di dialetti Unix. Con un kernel a servizi basato su Mach, in contrapposizione alla soluzione “brutale”, sporca e funzionale di Linux con il suo kernel monolitico.
Quella di NeXT era una scelta di eleganza oltre che di funzionalità, e di potenza. Oltre che di lenta e crescente compatibilità Posix. Tra tante cose buone, NeXT Step ne aveva una cattiva: non era riuscito a trovare una sua dimensione nè clienti, progioniero del perfezionismo elitario del suo proprietario e stava per andare a gambe all’aria. Amelio fece l’offerta che non si può rifiutare (dopo avere cullato a lungo l’idea di fare la stessa cosa con Be Os di un altro grande ex Apple Jean Louis Gasée) e Mac Os e NeXT diventarono una cosa unica.
Steve Jobs al suo ritorno in Apple aveva potuto giocare proprio quella carta: l’acquisizione di NeXT per avere un nuovo sistema operativo già bell’e pronto anziché cercare di sviluppare quella cosa matta che era Copland, un altro ammasso di spaghetti e codice di tutti i tipi che non andava da nessuna parte. Ecco, Apple era lì, a cavallo del nuovo millennio. C’era l’iMac ma non c’era ancora l’iPod. C’era il Cube (ve lo ricordate?) e c’era il System 8. Le primissime versioni di iTunes e di iMovie funzionavano in quell’ambiente. C’era anche un progetto segreto, cioè la realizzazione del nuovo sistema operativo, basato su NeXTStep.
Apple si sapeva che ci stava lavorando, ma di quel mondo si conosceva solo la variante NeXT e il fatto che probabilmente ci sarebbe stata l’interfaccia del buon vecchio System, con nove diversi sistemi per aprire le cartelle, e tutta una serie di funzionali e confusioni che a rivederle adesso fanno una gran tenerezza ma anche impressione per quanto erano arretrate rispetto a Mac OS X. E poi cosa successe?
Due anni di lavoro per creare non tanto le tecnologie sottostanti ma piuttosto l’interfaccia basata su Aqua, e arriva il miracolo. Arriva Mac OS decima versione, cioè “X” (non “ics” ma “decimo”, numeri romani), che proprio oggi compie undici anni. Undici anni del decimo sistema operativo di Apple, che si è incarnato nove volte (compresa la versione preliminare 10.0 e la prossima Mountain Lion 10.8). Un sistema operativo che a guardarlo oggi mantiene la sua genialità ed essenzialità, modernità e potenza di uso. Un sistema operativo che è riuscito a unire la più grande tradizione dell’informatica, cioè quella che nasce da Unix e da cui è anche derivato Linux.
Ci sono una miriade di nomi di eroi dell’informatica che hanno lavorato su questo versante, uno dei fronti della grande guerra dell’innovazione tecnologica al cui comando assoluto c’è stato per una lunga e fortunata stagione Steve Jobs. Una guerra che è servita a reinventare da capo Apple e quindi tutto il mondo dell’informatica. La creazione di OS X è stata fondamentale per dare la forma che oggi ha Apple. Non solo perché tramite il sistema operativo che compie oggi gli anni si è creata la potenza necessaria ad avere un sistema moderno, e neanche perché tramite questo sistema si è potuto far scalare OS X e produrre il sistema operativo degli iApparecchi, cioè iOS.
No, c’è di più. Quando Apple ha dovuto lanciare il suo nuovo e più moderno sistema, nonostante le mille attenzioni, c’era una problematica di cambiamento di piattaforma che avrebbe potenzialmente avuto effetti devastanti se gli sviluppatori avessero deciso di non supportarla. Apple ha tenuto la compatibilità con quello che è diventato l’ambiente “Classic” ma Steve Jobs ha combattuto una battaglia durissima per portare le principali applicazioni su OS X. C’erano tre obiettivi. Microsoft, Adobe e Macromedia (che poi sono diventate una cosa sola).
Microsoft era legata con un accordo commerciale stretto nel 1997, al tempo del ritorno di Jobs, e ha rispettato la parola data sviluppando Internet Explorer e poi Office per OS X. Invece, Adobe no. Ha tradotto poco, male, lentamente, niente per il mercato consumer, ha mancato le sue promesse e ha costretto Apple a muoversi nel campo delle applicazioni, sviluppando i suoi software per il mondo consumer e professionale (è il periodo in cui arrivano i Final Cut e i Logic, ma anche gli iPhoto e gli Aperture). Insomma, ha fatto da apristrada alla decisione di aumentare l’integrazione verticale del mondo Apple, la strategia dello stile di vita digitale, del mozzo e dei raggi, delle suite iLife e poi iWork.
Senza la lentezza e i paletti messi da Adobe, oggi avremmo una Apple molto diversa e molto meno prestante. Ma non è finita qui, Perché mentre Steve Jobs eseguiva questa epocale transizione da architettura Motorola a PowerPC e da System 9 a OS X, l’interfaccia non era tutto. Il cuore di OS X era e rimane quel che si chiama Darwin, il sistema Unix open source aperto e libero per tutti. Che Appel coltivava anche in versione per architettura x86, cioè Intel, in maniera tale che fosse possibile realizzare in gran segreto una versione di Mac OS X compatibile con i processori della concorrenza. Questo vuol dire che, nel momento del bisogno, cinque anni più tardi, Jobs avesse già pronta la prossima migrazione, da Risc a x86, quella che ha permesso ad Apple di liberarsi dall’asfittico e scarso consorzio con Motorola e Ibm (interessata a vendere chip a Sony per la Playstation più che ad Apple) e gettarsi in una nuova direzione.
Una direzione che sta cambiando ancora una volta: si vocifera di apparecchiature Mac con processori A5 o A6, quelli su architettura ARM realizzati da Apple stessa e prodotti da Samsung che vengono usati per tutti gli iApparecchi. Il futuro sarà forse quello: il dialetto iOS di OS X, diventerà tra non molto la lingua principale e i computer saranno non più basati su Intel ma su processori realizzati dalla stessa Apple: A10 o qualcosa del genere. Chi può dirlo, forse è solo fantascienza, forse è la roadmap che Steve Jobs aveva in testa.
Fatto sta che oggi si festeggia una tappa importante, una tappa di percorso che è al tempo stesso storica (undici anni per un sistema operativo non sono pochi) e di prospettiva. Apple va avanti, l’innovazione non si ferma nel rispetto della tradizione e della continuità. E poi cosa succederà? Lo vedremo nei prossimi anni. Una cosa è sicura: sarà molto interessante.