Era uno Steve Jobs diverso da quello a cui siamo abituati quello che il 6 maggio del 1998, esattamente 25 anni fa, presentò un nuovo computer, l’iMac. Uno Steve Jobs con giacca e pantaloni, la camicia bianca allacciata fino al colletto. Completamente diverso dall’immagine che Jobs ha costruito negli anni successivi sino a trasformarsi in una sorta di attore-performer, capace di ipnotizzare le platee dei suoi keynote e presentare prodotti e strategie.
Ma attenzione, non lasciatevi fuorviare, perché quello Steve Jobs che un quarto di secolo fa ha presentato l’iMac aveva già tutto quel che serve per costruire la Apple del futuro, quella nella quale stiamo vivendo nonostante l’epoca di Tim Cook sia cominciata già da più di dodici anni.
La seconda venuta di Steve Jobs
Quello del 1998 uno Steve Jobs profondamente diverso da quello del 1984, cioè del lancio del primo Mac. Molto più maturo e sicuro, passato attraverso una spettacolare crisi di mezza età che lo aveva proiettato da essere un giovane arrogante e geniale imprenditore e creatore di una azienda tra le top 500 in America (e finire sulla copertina di Time, il settimanale più importante al mondo) a venir cacciato dallo stesso Ceo che aveva scelto con cura per crescere ancora di più. Uno Steve Jobs che negli anni dell’esilio, una vera migrazione nel deserto, aveva costruito NeXT e Pixar, due aziende fondamentali nei rispettivi ambiti.
La seconda, Pixar, è diventata una colonna portante di Disney (e la creatrice della fortuna economica personale di Jobs, visto che l’ha venduta a Disney per 5 miliardi di dollari) mentre la prima ha costruito tutto quel che gli serviva per ritornare in Apple prima come consulente, poi come Ceo ad interim, iCeo e infine guida vera e propria dell’azienda fino alla sua morte prematura nel 2011.
Lo Steve Jobs che guidava Apple per la seconda volta è stato capace di calmare i suoi demoni interiori, o meglio indirizzarli con maggiore maturità verso il lavoro e gli obiettivi visionari che sappiamo e che hanno cambiato il mondo in cui viviamo. Steve Jobs non si è inventato Internet o il software, ma smartphone e tablet, app store e servizi integrati, oltre all’interfaccia grafica e un modo di intendere l’informatica e i suoi prodotti che lega design estetica e facilità d’uso alla funzione e allo scopo dei prodotti stessi, sono figli della sua visione.
Come accadde nelle Apple del Macintosh, che in realtà poggiava sulle spalle possenti dell’Apple II (l’unico che produceva fatturato nella prima e nella seconda metà degli anni Ottanta), così nella Apple del 1997 (la data del rientro di Jobs al comando) e in quelli successivi, tra i tanti tagli il primo nuovo prodotto che cominciò a cambiare le cose fu l’iMac.
Un nuovo inizio, un grande successo
Oggi, dopo l’iPod del 2001, l’iPhone del 2007, l’iPad del 2011, ma anche il MacBook Air del 2010 e vari altri prodotti di successo (da sole le AirPods valgono più di quanto non valesse l’intera Apple del Macintosh), possiamo dimenticarci facilmente la vera storia della seconda venuta di Steve Jobs e della palingenesi di Apple, trasformata come la Fenice da azienda prossima al fallimento (con pochi mesi di cassa prima di portare i libri in tribunale) a superpotenza economica di livello planetario.
Eppure, tutto passa da lì, dall’iMac. La visione di Steve Jobs, il team incredibile creato mescolando i “suoi” di NeXT con i veterani di Apple, i nuovi talenti, e ovviamente l’incontro spettacolare con quello che sarà un fratello virtuale per Steve Jobs, capace di dare forma alla sua visione, cioè il designer Jonathan “Jony” Ive, che da pochi anni ha lasciato Apple e creato la sua società, dedicandosi a collaborare con l’azienda guidata da Tim Cook (e con l’archivio della vedova di Jobs) e a progetti privati (è suo il logo dell’incoronazione di Carlo d’Inghilterra)
L’eredità del Macintosh
L’iMac è stato il primo vero grande lancio in avanti nel design dai tempi del Macintosh, un oggetto che viene “da un altro pianeta”, e un “buon pianeta” per essere precisi. E nel breve video di presentazione Jobs spiega che è fatto bene anche perché ci sono “migliori designer” in Apple. L’inizio del rapporto tra Jobs e Ive è come quello tra Walt Disney e il migliore dei suoi artisti: il nome rimane dietro le quinte, ma manca poco al riconoscimento del valore di Ive e alla conquista da parte sua del suo ruolo centrale nei processi dell’azienda, che mette il design al centro con gli altri elementi necessari per lo sviluppo dei prodotti hardware e software.
L’iMac diventa un successo: è la Fiat 500 della Apple, il computer con il prezzo giusto che porta nel regno della mela milioni di utenti. Il prezzo è certamente elevato rispetto ai Pc assemblati ma straordinariamente basso e interessante per chi voleva qualcosa di più. Esplode nel settore scolastico, diventa il computer delle scuole, dei giovani, degli studenti, dei creativi in cerca di un inizio o dei creativi che non hanno bisogno di una costosissima workstation della Apple per fare cose troppo complesse, ma hanno bisogno di lavorare (e vivere, e giocare) con il computer e i software di Apple e della piattaforma.
Il successo economico che ha salvato Apple
L’iMac è stato fondamentale per Apple perché ha avuto successo subito. E ha garantito quel flusso di cassa che ha permesso all’azienda, oltre al rilancio come marchio e all’acquisto di nuovi clienti, di creare i prodotti successivi. Alcuni di successo, altri meno (il Mac a forma di “Cubo”) e altri spettacolari (i PowerBook, gli iBook). La strategia di Apple era diventata quella di una razionalizzazione radicale, Steve Jobs aveva chiuso tutte le linee di prodotto scommettendo sulla capacità di fare una ripartenza basata su una matrice 2×2: due prodotti per il mercato consumer e due per quello professionale, in ciascun settore un fisso e un portatile. La strategia, che veniva sviluppata parallelamente al lavoro sugli store fisici (che avrebbero esordito all’inizio del nuovo millennio diventato un’arma straordinaria per lo sviluppo dell’azienda e dei suoi successi commerciali) e all’ideazione di altri prodotti, ebbe un successo insperato e superiore alle aspettative.
Il tutto basandosi sui “numeri” fatti dall’iMac. Il fratello portatile per il mercato consumer, cioè l’iBook (prima in versione a conchiglia e colorata, poi con il suo memorabile guscio in policarbonato bianco perfetto per almeno cinque anni), ebbe un ruolo molto importante ma non altrettanto centrale. Fece capire ad Apple che i portatili sarebbero stati il futuro, ma non fece mai i numeri degli iMac. E i PowerBook e PowerMac occuparono uno spazio molto importante sul mercato ma certamente non poterono competere con l’iMac.
Perché una “i”?
La storia della “i” è legata al momento (“Internet”, “interactive”, semplicemente “i”) ed è quella dell’iMac. Tutti gli altri prodotti successivi (iPod, iPhone, iPad) ma anche il primo “titolo” di Steve Jobs (“iCeo”) e i servizi (iTools) devono la loro “i” all’iMac. E lo scorciamento del nome (da Macintosh a Mac) serviva a dare la dimensione di questo cambiamento, accogliendo il modo informale e famigliare con il quale i Macintosh venivano da sempre chiamati dai loro possessori.
Ma la storia più bella è quella che continua ancora sotto i nostri occhi. In un quarto di secolo l’iMac è cambiato. All’inizio era uno straordinario computer a tubo catodico con un bel maniglione posteriore e fatto tutto in plastica trasparente. Era il computer che ha lanciato l’idea dei computer colorati e amichevoli, rinverdendo l’approccio del Macintosh originale (molto più costoso in proporzione ma pensato per lo stesso scopo: essere il computer “per il resto di noi”) e ha creato l’idea delle “stagioni” con colori diversi e spot straordinari che hanno fatto da piattaforma a quelli dell’iPod.
Full optional
L’iMac è stato anche uno dei primi computer al mondo ad avere la predisposizione per il WiFi (chiamato Airport) di serie, la Usb di serie e niente porte seriali, una razionalizzazione delle connessioni invidiabile, uscita audio stereo e doppia porta per mini-jack audio, infrarosso di serie e una serie di altre funzionalità che oggi sembrano forse scontate o sorpassate (come il lettore CD rom frontale che divenne poi masterizzatore CD/DVD di serie) ma che in realtà all’epoca non solo erano rivoluzionarie, ma erano sempre “full optional”, cioè inclusi con tutti i modelli.
Forse il paragone giusto non è con la Fiat 500, che è la macchina che negli anni Cinquanta e Sessanta ha messo su quattro ruote gli italiani ma era una macchina storicamente priva di qualsiasi accessorio o raffinatezza, bensì con la Mini Morris degli anni Sessanta-Settanta e Ottanta, che aveva il gusto delle dimensioni ridotte, ma anche degli allestimenti molto curati e di prestazioni decisamente maiuscole, fino al picco della versione Cooper.
Una grande storia di successo
Sia quel che sia, l’iMac è stato il salvatore economico di Apple, almeno fino all’esplosione dell’iPod (il primo, vero successo extra-computer di Apple), è stato il primo esercizio di design del dinamico duo Jobs-Ive, è stato il primo computer moderno full optional per come concepiamo i computer oggi (cioè Usb, WiFi, compatibile con connessi veloci, all’epoca dotato di CD/DVD ma non di lettore di floppy disk!) e quindi non solo “buono” ma anche “bello”.
La sua evoluzione è stata seguita con attenzione dalla stampa tutta e da milioni di persone: da tubo catodico e forma a “noce”, a una forma prima ad Abat Jour e poi quella a schermo con staffa di metallo e la scheda (più uscite per le periferiche e il lettore/masterizzatore) integrati e incassati dietro lo schermo. Quel design, che dura ancora oggi con una serie di evoluzioni sempre più spettacolari sino a culminare con il bellissimo iMac 24 M1 più spigoloso e ancora più sottile, ha ridefinito l’idea di All-in-one ed è ancora oggi una delle scelte di design più copiate/omaggiate in tutto il mondo della tecnologia.
Il futuro dell’iMac non sappiamo quale potrà essere, ma sappiamo che ne parleremo ancora a lungo, probabilmente festeggiando anche il suo cinquantesimo compleanno tra un altro quarto di secolo, perché no?