Gli sforzi degli Stati Uniti per rilanciare l’industria manifatturiera di chip e semiconduttori sono destinati a fallire: lo ha detto senza mezzi termini Morris Chang, il 91enne fondatore di TSMC, il più grande costruttore indipendente di semiconduttori al mondo, con sede a Taiwan. Chang ha riferito le sue osservazioni a Nancy Pelosi, Speaker della Camera dei rappresentanti USA, nella visita a Taiwan di agosto.
Le osservazioni di Morris Chang sono state ascoltate durante una cena organizzata dalla presidenza taiwanese per l’ospite statunitense, sono state rese note solo ora e la franchezza del fondatore di TSMC avrebbe sorpreso gli ospiti, secondo il Financial Times. TSMC è un’azienda protagonista fondamentale a livello globale nel settore dei semiconduttori, e ha consentito a Taiwan di diventare protagonista essenziale e un centro nevralgico di riferimento per tutte le aziende che utilizzano processori nei loro prodotti.
Il problema di Taiwan è lo scontro sempre più evidente con la Cina, e la visita della terza carica più alta degli Stati Uniti ha acuito ancora di più le tensioni, e contrasta con le premesse dell’“unica Cina” in base alla quale gli Usa riconoscono la Repubblica popolare come reale espressione della Cina, pur continuando a sostenere l’autonomia (non l’indipendenza) di Taiwan.
Gli USA (ma non solo loro) vogliono tornare a diventare protagonisti nella produzione di processori e affini, affrancandosi dalla dipendenza di Taiwan e quindi TSMC. Per compiacere gli USA, TSMC ha avviato la costruzione di una fabbrica in Arizona che dovrebbe funzionare a pieno regime tra due anni, tuttavia quest’ultima non sarà in grado di produrre chip di livello pari a quelli che è attualmente possibile realizzare a Taiwan (quelli destinati a computer e smartphone).
Negli USA (o altri parti del mondo) si potrebbero produrre chip e processori meno sofisticati come quelli destinati al settore automotive o a macchinari industriali, ma serviranno anni e ingenti investimenti prima di poter sperare di poter davvero affrancarsi da Taiwan e in particolare da TSMC.
Intanto Intel e Samsung hanno fatto passi avanti e hanno progetti ambiziosi per nuove fabbriche in USA e non solo. A luglio la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha seguito il Senato approvando il finanziamento del CHIPS Act, un passo ritenuto fondamentale dal CEO di Intel per “contribuire a garantire la leadership americana nella produzione di semiconduttori e nella ricerca e sviluppo”.
Dal canto suo, TSMC può vantare una padronanza tecnologica che obbliga aziende come Apple e AMD ad averla come unico fornitore, nonostante i rischi sempre maggiori che derivano dagli scontri dei taiwanesi con la Cina. Taiwan, d’atra parte, vede nel potere di questa azienda e del settore nel suo complesso una sorta di assicurazione sulla vita. Se la Cina diventasse ancora più pericolosa, i Paesi occidentali, preoccupati dalla necessità di preservare le forniture di semiconduttori (settore già colpito dal Covid) avrebbero tutti gli interessi a intervenire in caso di necessità.
La Cina potrebbe anche “accontentarsi” di un blocco non violento, una scelta altrettanto devastante per le imprese e le economie straniere. Per quanto concerne lo sviluppo dei microprocessori in Cina, in passato il fondatore di TSMC ha dichiarato che in questo settore la Cina è per il momento cinque anni indietro.