Appleinsider riferisce che alcuni file con codice Java di proprietà Oracle sono stati individuati nel progetto open source Android gestito da Google, mettendo nuova carne sul fuoco per la presunta violazione di copyright che Oracle ha già reclamato nei confronti della grande “G”. La scoperta è di Florian Mueller, “attivista delle proprietà intellettuali”, un blogger che si occupa dei brevetti software e di come questi si relazionino con il software free e open source. In un post su suo blog, Mueller ha descritto una dozzina di file che a suo dire “Oracle potrebbe presentare in tribunale come esempio di materiale che viola il copyright nel codice Android”.
Il blogger scrive che gli esempi includono 37 file marcati “PROPRIETARY/CONFIDENTIAL” da Sun (ora Oracle) e con l’indicazione del copyright che riporta “DO NOT DISTRIBUTE!”. Ad agosto dello scorso anno, Oracle ha denunciato Google per violazione di alcuni brevetti protetti da copyright concernenti Java: il produttore software afferma che Google ha sin dalla metà del decennio scorso ignorato il portfolio brevetti di Sun assumendo anche personale del team Java negli anni precedenti all’acquisto di Sun da parte di Oracle.
A difesa di Google, Ars Technica riporta che “molti dei file in questione appartenevano a componenti di un software audio di terze parti che effettivamente includeva codice Oracle ma questo non è stato mai effettivamente distribuito come parte di Android OS su nessun dispositivo”. Il sito fa notare che i file in questione sono “ospitati nel repository del codice Android, ma il loro contenuto non è incluso nella stessa base di codice dalla quale è stato sviluppato Android. Queste scoperte mostrano la necessità di una più rigorosa revisione del codice al fine di evitare infrazioni accidentali, ma non possono mostrare che Android stesso, per la modalità con la quale è distribuito nei dispositivi, è copiato da J2ME”.
Una difesa più sarcastica è formulata da ZDNet che similarmente descrive alcuni dei file in questione come usati da tool interni di test che non dovrebbero essere finiti su dispositivi Android. I 37 file sarebbero stati “caricati da qualcuno per errore e dovrebbero essere semplicemente cancellati”.
Rispondendo agli argomenti in difesa di Google e facendo un po’ la parte dell’avvocato di Oracle, Engadget riporta che dal punto di vista tecnico le obiezioni di Ars Technica e ZDNet sono valide, ma dal punto di vista giuridico i file accrescono le responsabilità di Google nella causa per violazione di brevetti. “La singola questione più rilevante è se è legale o no copiare e distribuire questi file senza l’autorizzazione di Oracle e la risposta è chiaramente no, anche se Oracle ha distribuito il codice con licenza GPL”. “Qualcuno ha preso il codice Oracle e ha rimpiazzato la GPL con l’incompatibile Apache Open Source License, distribuendo pubblicamente il codice con quest’ultima licenza. Se Google ha violato la licenza GPL modificandola, ha dunque violato il copyright di Oracle”.
Se gli sviluppatori e il team che cura Android hanno distribuito codice che appartiene a Oracle, indipendentemente se questo sia stato usato o no nei dispositivi commercializzati, potrebbero essere ritenuti responsabili di aver usato codice senza autorizzazione. Google potrebbe essere costretta a pagare costi di licenze, royalties o una somma forfettaria, oltre ad essere obbligata a rimuovere il codice conteso e offrire versioni dello stesso libere da impedimenti. Un caso simile si è verificato tra Unix System Labs e BSDi nei primi anni ’90 e il risultato è stato la creazione di una versione libera da violazioni del BSD Unix, usata anche da Apple per lo sviluppo di Mac OS X. All’epoca il procedimento andò così tanto per le lunghe che i tempi di sviluppo di una versione free dell’Unix BSD furono superati da Linux, sistema operativo nato nel frangente della denuncia a BSD.
Problemi simili Google potrebbe averli con WebM, il codec VP8 che ha acquistato e rilasciato come free software in alternativa all’aperto ma non free H.264, codec supportato da Apple, Microsoft, Nokia e altri produttori. La società ha immediatamente distribuito il codice dopo l’acquisizione, sollevando più di un dubbio su quanto fosse stato effettivamente rivisto il codice, al fine di evitare discussioni sulle proprietà intellettuali. Sun, Apple, Mozilla e altre società hanno controllato molto del loro codice per anni prima di renderlo disponibile come open source: è incredibile che una società come Google non abbia dei procedimenti di revisione del codice altrettanto rigorosi.
Java, lo ricordiamo, è usata molto di frequente nel mondo delle piattaforme per la telefonia mobile. Tra i pochi produttori di smartphone a non sfruttarla c’è Apple: l’azienda di Jobs non sfrutta Java per lo sviluppo delle applicazioni e respinge le applicazioni dall’App Store che si appoggiano a questa tecnologia.
[A cura di Mauro Notarianni]