Altro che Vision Pro, auto elettrica a guida autonoma o chissà quale altri gadget: il vero capolavoro di Tim Cook sarà quello – se gli riesce – di sbrogliare l’attuale problema con l’intelligenza artificiale AI (che non regge il passo della concorrenza), recuperare e anzi, uscirne vincitore. Realizzando qualcosa di unico che gli altri non hanno e non fanno: un’AI “solo locale”, trasversale e con la “privacy integrata”. È possibile?
Il problema dei problemi
Partiamo dall’inizio. Apple ha accumulato un grande ritardo con l’intelligenza artificiale. In generale, dal lancio di Siri (che, ricordiamolo, è frutto di un’acquisizione ai tempi all’avanguardia) è diventato via via sempre più evidente che andavano meglio altri assistenti personali e altri sistemi di automazione AI, cioè mossi da algoritmi che fanno prendere decisioni in base a meccanismi di intelligenza artificiale, sino ad arrivare agli ultimi chatbot (strumenti di intelligenza artificiale generativa) di OpenAI, Google e Facebook.
Strumenti addestrati con i dati degli utenti che li usavano oltre che di quelli presi un po’ da tutte le parti senza chiedere il permesso a nessuno, e spostando avanti e indietro dai dispositivi al cloud tutto quel che serve all’AI senza riguardo per l’utente: dati personali, registrazioni ambientali, informazioni private, abitudini, tracking “estremo” a livello di piattaforma.
Detto in altre parole: Apple è rimasta parecchio indietro. Ferma al palo. Incapace di andare avanti da sola. Ma coerente con se stessa e tutto sommato “pulita” dal gioco sporco fatto da molti in quest’arena. La risultante è che Apple è condannata a non fare mai una “buona” AI, capace di funzionare bene.
Ma è davvero così? Cioè, chi resta indietro e non si comporta in maniera “pirata” è perduto oppure, se lavora bene e recupera rimanendo coerente con i suoi principi, riesce addirittura a raggiungere e superare gli altri?
La prossima mossa di Cupertino
Negli scorsi giorni abbiamo visto che l’azienda sta accelerando sulla produzione dei chip M4, che avranno più neural engine e una migliore predisposizione per eseguire le operazioni necessarie alla realizzazione di sistemi di intelligenza artificiale “locale” rispetto alla già ottima capacità delle generazioni precedenti, incluso l’ultimissimo chip M3 e le versioni mobili A17 Pro, entrambi con lavorazioni da 3 nanometri.
Poi abbiamo letto, nei mesi scorsi, sia le dichiarazioni di Tim Cook relativamente agli investimenti decisi per sviluppare la intelligenza artificiale di Apple, la decisione di chiudere il progetto dell’automobile e riposizionare parte del team sul lavoro per l’intelligenza artificiale, gli accordi possibili con Google o con altri, le acquisizioni e le varie accelerazioni.
Dove ci porta tutto questo? Qual è lo scenario futuro dell’azienda? E quali saranno le caratteristiche del futuro per quanto riguarda l’intelligenza artificiale Made in Cupertino?
Quel che succede su iPhone resta su iPhone
Due o tre cose sono chiare, sin da ora. La prima è che l’intelligenza artificiale, nelle intenzioni di Tim Cook, deve essere “rivoluzionaria” e portare valore dentro il sistema operativo. Non è diverso da quello che vuole fare Microsoft con Windows, Google con Android, entrambe le aziende con le loro piattaforme cloud, e Facebook con la sua piattaforma recintata.
Poi, l’AI di Apple deve essere declinata attraverso tutti i prodotti dell’azienda. Dopotutto Apple questo è: un’azienda che produce apparecchi e li vende. Servizi e altre cose sono solo un di cui. Poco meno dei tre quarti del fatturato vengono dall’hardware e iPhone è più della metà del totale. La cosa più logica è che Apple cambi i suoi prodotti, anziché cambiare pelle e mettersi a fare altro.
Quindi, AI negli iPhone, AI negli iPad, AI nei Mac. Però anche AI nella casa, con gli HomePod e HomePod mini, AI al polso con Apple Watch, AI nelle orecchie con AirPod, AI davanti agli occhi con Apple Vision, AI nello schermo con Apple TV e con i display dell’azienda. E AI in tutto il resto, se c’è ancora qualcosa che ci siamo dimenticati.
C’è però una caratteristica che Apple vuole utilizzare per rendere la sua intelligenza artificiale diversa e auspicabilmente migliore in un senso diverso da quello quantativo della competizione in corso oggi. Rendere la AI “locale”, limitata al singolo apparecchio. Tutto questo per tutelare la privacy.
La potenza di Apple Silicon
Apple ha creato la sua piattaforma di microchip integrati, i SoC che vengono chiamati Apple Silicon e che sono trasversalmente utilizzati sui vari dispositivi. Quelli di telefoni, tablet e computer (ma anche visore e Apple Tv) sono variazioni di un unico progetto. Poi ci sono quelli specializzati per fare cose dedicate ad esempio all’audio negli AirPod, o da tenere attorno al polso con Apple Watch.
Il disegno dei chip fatto in casa, tendiamo a dimenticare, permette di fare qualcosa di speciale. Permette cioè di modulare non solo le esigenze di calcolo (quanti core, con quanta memoria e a quale frequenza) ma anche il “modo” con cui si fa il calcolo, integrando parte di quello che un processore generico farebbe via software con delle parti dedicate.
I “neural engine” degli Apple Silicon nascono in questo modo. Ma ci sono anche molte altre funzioni e metodi integrati, delle vere e proprie “primitive” utilizzate dai sistemi di Apple per far girare kernel, sistema operativo e applicativi che si trovano incise sul silicio.
Cosa succede quando scrivi nel silicio
Lo svantaggio di avere qualcosa fotoinciso nel silicio è che non si può modificare o aggiornare, ma il vantaggio è che gira meglio di diversi ordini di grandezza (più velocemente, consumando meno) dell’equivalente software.
Questa specializzazione dei chip è dovuta all’attuale strategia, che vede una sempre maggiore personalizzazione dei processori creati da tutti per fare attività molto specializzate. Processori come quelli fatti da Google per l’addestramento delle reti neurali e l’esecuzione dei sistemi di AI nel cloud o nei Pixel, o quelli di Amazon o quelli di altri protagonisti del settore. Anche Nvidia ha costruito il suo enorme valore in Borsa proprio scegliendo la strada di una forte personalizzazione dei suoi chip per i server dell’AI e per quelli che servono a “minare” (ottenere) i BitCoin.
Ma ci sono decine di altri settori dove i SoC costruiti con progetti specializzati sono rivoluzionari: i processori degli apparecchi 5G per la telefonia mobile, i veicoli autonomi, i sistemi software-defined per la rete (la rivoluzione dei router, detto in altre parole), i sistemi HPC (High Performance Computing, cioè i supercomputer di una volta), i sistemi di gestione del cloud.
A pagare pegno sono i produttori “generalisti” (Intel, Amd e Qualcomm, soprattutto) mentre si avvantaggiano quelli che si possono specializzare. Apple è stata forse la prima grande azienda a capirlo e farlo, con il vantaggio competitivo di avere una sua piattaforma (Apple Silicon) oggi estremamente matura.
Il futuro dell’AI
Ecco dunque che si capisce meglio da dove parte la Apple di Tim Cook per creare la sua AI residente. E coerente, perché l’azienda forse non ha più la visione “di prodotto” che aveva con Steve Jobs, ma adesso di sicuro ha una straordinaria visione “di metodo” disegnata da Tim Cook con al centro alcuni valori chiave tra cui la privacy, la sostenibilità e l’inclusività.
La privacy vuol dire che la AI non deve diventare un grande fratello automatico al servizio delle piattaforme. Deve diventare un assistente personale di ogni singolo utente. Per farlo bisogna spostare buona parte dell’addestramento e dell’esecuzione dei calcoli là dove sono i dati dell’utente, cioè sui dispositivi.
Immaginiamo una barriera che separa due spazi diversi e collegati tra loro: la piattaforma da un lato e l’ambito di ogni singolo utente dall’altro. I dati sono nell’ambito dell’utente, crittati e irraggiungibili dalla piattaforma di Apple. La piattaforma contiene invece servizi e capacità di calcolo e una serie di contenuti: musica, film, serie tv, ma anche spazi riservati all’utente, degli ambiti extraterritoriali come le ambasciate dove tenere in maniera protetta e crittata i propri dati.
Il capolavoro di Tim Cook
L’intelligenza artificiale per funzionare correttamente dal punto di vista di Apple deve non solo essere potente, con gli algoritmi giusti, capace di fare le cose che Apple e i suoi utenti si aspetta, ma anche conoscere questi ultimi ed essere al servizio di ciascuno di loro. Per farlo deve entrare nell’area riservata degli utenti e usare i loro dati. A differenza di altri, quello che Apple probabilmente intende fare è tagliare il cordone che lega ogni singola istanza dell’AI alla piattaforma e spostarla nell’area degli utenti. Rendendola in questo modo completamente privata.
Per farlo, bisogna che molta parte del calcolo si trasferisca sui dispositivi degli utenti e che questi siano in grado di gestire i carichi di lavoro locali dell’AI senza raggiungere temperature adatte a bollire l’acqua e senza finire la batteria in venti minuti. Qui entra in gioco la capacità di Apple di creare dei processori che sappiano reggere il gioco all’AI che stanno per accogliere.
A quel punto una AI veramente locale e veramente privata potrà essere potenziata al massimo per entrare in tutte le funzionalità degli apparecchi e della vita delle persone senza rischio di spifferare i dati personali o di clonarli o di fare altro che non sia quello che l’utente vuole.
Se ci riesce, questo sarà il vero capolavoro di Tim Cook, quello per cui sarà ricordato.
Tutte le novità AI di Apple sono attese alla conferenza mondiale degli sviluppatori WWDC 2024 che inizia il 10 giugno. Tutte le notizie che trattano di Intelligenza Artificiale sono nella sezione dedicata di macitynet.