Un film che racconta in maniera romanzata una storia sostanzialmente falsa, di una vera startup, che però presenta in maniera quanto meno esagerata i suoi risultati e che viene presa per reale non solo dalle recensioni del film, ma anche dalla stampa internazionale.
Ok, messa così sembra più complicato della trama di Lost, ma il film The Startup di Alessandro D’Alatri (che parla di Matteo Achilli, ventenne fondatore di Egomnia) è in realtà un’italianissima e lineare vicenda che mostra come nell’epoca della globalizzazione digitale le bufale non solo siano solo un campanello d’allarme per la qualità del sistema dell’informazione, ma anche di come siano un virus per i quali forse mancano ancora anticorpi.
Una bella fiction
Prodotto da Luca Barbareschi con Rai Cinema e ditribuito da 01 (nelle sale dal 6 aprile) il film di D’Alatri è la storia di Matteo Achilli, giovane brillante e intraprendente che ha un’idea imprenditoriale in grado di cambiargli la vita e di cambiarla a tante altre persone. Ma deve lottare contro tutti e contro tutto: le banche che non lo prendono in considerazione, la politica che cerca di ghermirlo, gli squali che cercano di portargli via l’idea. Ma alla fine Matteo Achilli tiene duro e arriva nell’olimpo degli imprenditori di successo. Un soggetto che guarda (anche nel titolo) a The Social Network di David Fincher con un pizzico di denuncia sociale e di orgoglio nazionale. «I giovani vanno all’estero, lui è rimasto. E ha portato ricchezza e lavoro a questo paese», dice il regista parlando di Matteo Achilli in un’intervista al Corriere della Sera, «è la prima volta che accetto una sceneggiatura già scritta – aggiunge -, ho fatto il regista e non l’autore. E mi sono divertito molto. È un film sulla speranza e l’Italia ne ha bisogno. Si dice sia l’ultima a morire, a me sembra che la speranza sia andata a farsi friggere».
La creatura di Matteo Achilli
Ma cosa è la creatura di Matteo Achilli, fiore nato tra le rocce aride di un Paese per vecchi come l’Italia? Di fatto Egomnia si occupa «di aiutare le persone a trovare lavoro in Italia», si legge nella presentazione sul sito ufficiale che senza tema di esagerare prosegue dicendo che «subito il Paese ha visto in Egomnia l’azienda potenzialmente in grado di diventare la prima grande società web/informatica italiana, alla pari dei colossi statunitensi». E anche grazie a un marketing spinto questa narrazione è arrivata sulla stampa che non si è lasciata scappare l’occasione di raccontare una storia di successo all’ombra di parole come start up ed economia digitale. Anche qui senza paura di esagerare, tanto da arrivare a parlare – questa volta esplicitamente – di Zuckerberg italiano.
Il reale dietro la fiction
Resta però il fatto che la storia di Matteo Achilli – ripresa dalla anche dalla BBC e da media internazionali -, non è andata proprio come viene raccontata dal film e dai giornali. O meglio, i risultati non sono proprio quelli descritti. A parlarne sono diversi blogger ed esperti di settore, come Alessandro Palmisano, che già nella scorsa estate mostrava come il bilancio di Egomnia non sia proprio come quello di Facebook: nel 2015 un fatturato di poco oltre i 300 mila euro, con un costo del personale di meno di 12.000 (dunque non ci lavorano in molti a Egomnia), debiti per 120.000 euro circa e un utile netto di 5.500 euro.
A rincarare la dose Gian Luca Comandini, opinionista Rai per la trasmissione Mi manda Rai Tre, che solleva parecchi dubbi anche sul numero degli utenti di Egomnia citando un dato piuttosto intuitivo, il numero di like alla pagina (solo 18mila) e concludendo, rivolgendosi direttamente a Matteo Achilli, scrive: «L’unica cosa in comune che hai con un vero genio è l’inventiva. Solo che il vero genio si inventa un lavoro e scrive la storia. Tu hai inventato una storia e basta». O un altro volto Rai come Marco Camisani Calzolari, che parla di Egomnia come un sito sostanzialmente inattivo.
Insomma il sei aprile nelle sale arriverà una bella ed edificante storia. Che ha poco di reale e troppo della fiction.