A ucciderlo è stata proprio l’avidità . Quell’avidità che non gli ha permesso di crescere e diventare uno strumento universale. Nato su intuizione di due colossi dell’elettronica, l’olandese Philips e la giapponese Sony, che avevano già sperimentato i primi formati di audio (e video) digitali, il Compact Disc è uno standard generoso che però è stato costretto a fare da contenitore delle brame delle grandi case discografiche, sostanzialmente “suicidandosi” con prezzi troppo elevati che hanno fatto da deterrente a nuove tecnologie come quelle della musica digitale in rete.
Oggi, 25 anni fa, Philips commercializzava il primo Cd. Un dischetto argentato che riusciva a contenere nel suo massimo 74 minuti. Come mai un formato e una dimensione così particolari? 120 millimetri, per l’esattezza, in grado di contenere 74 minuti di musica: un valore alquanto arbitrario rispetto ai 110 millimetri e 60 minuti previsti dai ricercatori olandesi di Philips, anche allora alleata con Sony per studiare lo standard. Ma Norio Ohga, 77 anni, allora vicepresidente di Sony a capo della divisione operativa del progetto (divenne poi Ceo dell’azienda tra il 1989 e il 1999), era stregato fin dalla giovinezza passata studiando canto al conservatorio di Berlino dalla Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven. Soprattutto, nell’interpretazione da 66 minuti di Herbert von Karajan di fine anni Sessanta.
Il Cd nel formato originale, per Ohga, non poteva non contenerla tutta. Per essere ancor più certi di non sbagliare, tramite un controllo degli esperti della PolyGram, all’epoca sussidiaria della Philips, si risalì sino ad una rara edizione del 1951 registrata in mono durante il Bayreuther Festspiele e diretta da Wilhelm Furtwà¤ngler della durata di 74 minuti circa. Poche modifiche (che misero però completamente fuori gioco gli impianti della fabbrica di Philips già pronta ad Hannover) e il Cd divenne uno standard di 74 minuti su un diametro di 12 centimetri pronto nel 1982 per i mercati di tutto il mondo.
Oggi si conta che di Cd ne siano stati venduti 200 miliardi e ancora un po’ se ne venderanno. Ma fu l’avidità dei discografici, che continuarono a “ricaricare” prezzi sempre maggiori, a condannare il Cd. E pensare che con la funzione “random”, un finto-casuale in cui l’algoritmo doveva impedire che le canzoni si riproponessero in fila (cosa poi non così impossibile con 8-12 tracce in media) il Cd aveva intanto iniziato a fare un lavoro psicologico sottile e distruttivo. Come poi l’iPod, il Cd ha destrutturato la musica, consentendo l’ascolto non lineare ed anzi programmato. E poi, con l’avvento dei primi masterizzatori, oltre alla copia “fisica” del disco, anche la creazione delle prime playlist più evolute di quelle delle cassette (e l’affermarsi di software come Toast di Roxio per Mac e di Nero per Pc). Infine, avendo i suoi contenuti in formato digitale, anche se con un campionamento di “bassa qualità “, inferiore a quei 24 bit che avrebbero ad esempio potuto restituire la completezza dei pieni orchestrali anche all’orecchio degli audiofili meno esigenti, nonostante tutti i ragionamenti che nel tempo si sono fatti sulle frequenze audio riprodotto dal cd a 44,100, cosa questa del campionamento digitale che consentiva di trasferire i bit con facilità dal supporto ottico all’hard disk, comprimerli in formato Mp3 e poi distribuirli in rete.
Prima Napster e poi iTunes, per semplificare, creando quello Zeus che si mangiò il padre Cronos-Cd. E la storia, dopo 25 anni, era cambiata radicalmente. Comunque, tanti auguri, Cd. E cento di questi giorni. Almeno, speriamo…