Questo è un periodo buio e, come sapete tutti, le misure eccezionali che sono state prese hanno come obiettivo quello di rallentare il contagio, riducendo il rischio per le persone più deboli ad esempio evitando la saturazione delle strutture ospedaliere. Tra le scelte che sono state fatte c’è sostanzialmente la quarantena imposta dal Governo a tutti i cittadini. Siccome molte attività possono essere svolte anche a distanza (altre sfortunatamente no, e bisognerà fare i conti anche con questo) ecco che fioriscono le iniziative per smart working, telelavoro e scuola smart. Ma stanno emergendo anche dei problemi molto rilevanti. Ne vediamo tre.
I social e la politica
Il primo problema è quello relativo all’uso dei social da parte della politica e delle istituzioni, cioè dei politici quando comunicano con gli elettori e delle amministrazioni quando comunicano con i cittadini. Le due cose si sovrappongono, alle volte, ma il senso è quello. E c’è da chiedersi perché.
La risposta è ovvia: la gente sta sui social, si fa prima a raggiungerli così che non con la televisione. Ma, a parte che non è vero, e a parte che sono state fatte negli anni spese enormi da parte delle pubbliche amministrazioni centrali e locali per dotarsi di impianti e soluzioni “di proprietà”, come siti web e sistemi di streaming, l’utilizzo dei social (Facebook, Twitter, Instagram) pone un problema che non è solo etico.
Sappiamo bene che si tratta di piattaforme appartenenti a paesi stranieri e con una policy di cosa si possa o non si possa pubblicare scelta da loro. E che raccolgono a scopo di monetizzazione le informazioni degli utenti. E che, vedi Cambridge Analytica piuttosto che non le influenze russe altrove, si prestano a deformazioni enormi. Perché il governo e la politica italiane, stato sovrano e in epoca di forte conflittualità con il resto del mondo fuori dall’Europa, si appoggia in maniera prona a queste piattaforme? In questo modo espone i cittadini e gli elettori alla schedatura, alla influenza e infine alla potenziale manipolazione (se non altro perché vengono legittimati i social come arena politica) di aziende straniere sulle quali non c’è nessun tipo di possibile controllo né qualitativo né tantomeno quantitativo. È una cosa semplicemente folle.
Le piattaforme di collaborazione
Secondo punto, le piattaforme di collaborazione. I più grandi produttori di software al mondo (Amazon, Google e Microsoft, visto che Apple e Facebook fanno sostanzialmente altro) stanno proponendo sistematicamente l’utilizzo gratuito delle loro soluzioni di smart working e di formazione a distanza, da usare nelle scuole. Qui la cosa è, se possibile, ancora più grave.
Innanzitutto perché questa non è beneficienza o solidarietà: lo sarebbe dare soldi per gli ospedali o la ricerca, o aiutare le aziende e le persone in difficoltà perché vedono cancellati i propri redditi. Invece, viene proposto un servizio a pagamento in forma gratuita, nella speranza neanche troppo nascosta che venga poi adottato in tempi normali. E comunque, l’adozione a termine vuol dire che da parte dei gestori delle piattaforme, grazie al lavoro di tantissimi, si possono raccogliere dati sul funzionamento, la flessibilità, i tipi di uso, gli eventuali bug.
Questa non è solidarietà o beneficienza: questa è una campagna di marketing vera e propria fatta in maniera predatoria su una popolazione – quella italiana – che sta vivendo una emergenza inedita. Ci vuole un sangue freddo e un cinismo enorme per fare una cosa del genere.
Le indicazioni governative
Terzo punto, il ruolo del governo. Viviamo in un Stato sovrano, l’Italia, che è inserita in un contesto di affratellamento e unione con altri popoli, l’Unione europea. È la più grande fortuna che sia mai capitata al nostro Paese. Eppure, né l’Ue né soprattutto il nostro Paese sembrano avere gli strumenti per comprendere e gestire, oltre a controllare ed eventualmente modificare, il comportamento delle aziende straniere che stanno operando in questo in decine di migliaia di scuole e in decine di migliaia di aziende.
Vengono raccolti dati sensibili, le piattaforme per la scuola hanno più buchi di privacy che funzionalità, ci sono moltissime problematiche legate a chi userà i dati che vengono fisiologicamente raccolti. E chi decide e vigila su tutto questo? Ovviamente non i nostri ministeri e non la Presidenza del Consiglio, che pare anzi essere contenta che aziende multinazionali straniere possano oggi regalare e domani vendere i loro servizi.
Ricordo infine che anche in Italia esistono software house che provano a costruire prodotti per la collaborazione e lo smart working o la scuola smart. Ci sono ad esempio WeSchool, Fidenia e Portale Argo che sono alternative italiane a Google e Microsoft.
Non lasciamo che questa emergenza sia una occasione per Google e per Microsoft di fare incetta, grazie all’offerta della G-Suite per l’educazione e a Office 365 Education A1, di dati su scuole, insegnanti e studenti. Si parla di etica della tecnologia ma sarebbe forse il caso di applicarla soprattutto a partire dalle scuole, che dovrebbero essere il posto dove si apprende e non dove si viene addestrati ad essere consumatori di prodotti di aziende straniere che hanno comportamenti che potrebbero essere anche definiti “predatori”.
Sono aziende di tecnologia che aiutano la società in momenti cupi o lupi travestiti da agnelli, pronti a sbranarci con la scusa della solidarietà? La risposta a voi, lettori.