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Switch to Android aiuta o rallenta le migrazioni?

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Grattare il fondo del barile: coogle non lo dirà mai, perlomeno non in questo modo, ma non c’è altra via per leggere la mossa della nuova app Switch to Android, una app pensata quel che fa già da anni l’app di Apple per Android, cioè migrare i dati degli utenti che decidano di passare da una piattaforma all’altra.

Un mercato chiuso per sempre

Già, perché qui si parla di cambiare sponda, spostarsi, andarsene, lasciare la casa madre (qualunque essa sia) e andare dall’altra parte. Un vero e proprio tradimento, come quando uno dei buoni di un film decide di mollare, diventa cattivo e va a combattere contro i suoi vecchi amici assieme ai nemici. Inqualificabile! Ingiusto! Intollerabile!

La debolezza morale nel mondo della telefonia mobile è pari al tradimento. I fornitori di connettività fanno a botte praticamente ogni giorno per conquistare utenti che non sono certamente nuovi. Sono utenti di altri fornitori di connettività e magari in passato erano loro clienti. Ormai la verginità è, nel mondo della telefonia mobile, solo un mito.

La stessa cosa accade con il duopolio Apple-Google. Perché di questo si tratta: l’84% della popolazione del pianeta ha uno smartphone in tasca o in borsa. Gli altri hanno un telefono “non smart” oppure non hanno un telefono (ma neanche si pongono il problema, avendo probabilmente problemi più pressanti o pochissimi anni di vita).

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Insostituibili

Il mercato è diventato un mercato di sostituzione, così perlomeno gli economisti definiscono le situazioni nelle quali tutti quanti usano i prodotti commercializzati e non ci sono più nuovi clienti “vergini” da conquistare. Ma per la telefonia mobile la cosa è diventata molto particolare.

Prima di tutto perché non si può fare a meno del “telecomando della vita”, dell’apparecchio che rappresenta attualmente il frutto più maturo della tecnologia. Con il cellulare si può fare tutto. In teoria si potrebbe vivere benissimo con un computer fisso a casa e un cellulare di generose dimensioni per tutto il resto. E probabilmente si risparmierebbero parecchie centinaia se non migliaia di euro facendo a meno di tablet, portatili, reader, console fisse e portatili e tutto il resto.

Poi, siccome tutti ne hanno uno e siccome è difficile differenziare l’esperienza in un campo piuttosto che nell’altro, in realtà convincere qualcuno a passare da un mondo all’altro è sempre più difficile. Perché tutto quanto è stato fatto e tentato, ma soprattutto perché ci sono abitudini e investimenti.

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La prigione dorata

In effetti gli smartphone non ci sono da tanto tempo in assoluto: dalla metà del 2007 se vogliamo considerare la commercializzazione di iPhone. Anche meno, se guadiamo alla nascita degli app store. E comunque sono stati a lungo immaturi e quasi uguali: le scelte tecnologiche di Android permettevano di avere sistemi certamente meno integrati e più confusi di quelli di Apple, ma le funzioni disponibili in entrambe le piattaforme erano così limitate che alla fine c’era poco da dipendere dal cellulare.

Poi, pian piano le due piattaforme non solo sono maturate facendo fuori peraltro qualsiasi opposizione e concorrente, ma sono anche diventate chiaramente divergenti. Nel mondo Apple si sta assistendo a una progressiva transizione verso un ambiente sempre più sintetico e rarefatto, mentre nel mondo Android c’è una convergenza di interfacce e tecnologie aiutata anche dal rifiuto da parte del mercato di tutte quelle diavolerie che vengono montate quotidianamente sui telefoni di terze parti (“bloatware“) e da un gusto minimalista sempre più diffuso.

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Google va a pesca

Il risultato è che convincere un utente ad abbandonare uno schieramento per passare all’altro non è solo questione di marketing ma anche di complessità tecnologica. Con sempre più dati in ambienti sempre più diversi e divergenti, convincere qualcuno a lasciare funzioni conosciute, app costose e grandi quantità di dati per cambiare bandiera (e poi magari pentirsene poco dopo) è veramente difficile.

Tuttavia, un po’ di cose sono cambiate: WhatsApp permette di migrare i backup da Apple ad Android e viceversa. Molte app sono più dipendenti dal cloud e da formati intercambiabili, oppure sono raggiungibili in maniera neutra su entrambe le piattaforme. E poi ci sono questi “facilitatori di trasferimento” che sono tutto sommato degli abilitatori che automatizzano procedure altrimenti incomprensibili per l’utente normale e permettono di saltare la barricata con uno sforzo, nelle intenzioni di Apple e adesso anche di Google, minimo.

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Tutta l’erba del vicino

Ma sarà veramente così? La migrazione sfruttando il cloud come ammortizzatore per semplificare il passaggio è una strategia sicuramente sofisticata e adatta non solo a chi è capace di tenerla ma anche di chi ha competenze di pensiero computazionale abbastanza sviluppate tanto da poter comprendere quali mosse si fanno e quali no per prepararsi alla migrazione.

E per il resto di noi? Apple ha da tempo preparato una app Android che serve a succhiare via i dati e spostarsi sul nuovo apparecchio iPhone. E poi per completezza ha lavorato molto anche sulla procedura per passare da un telefono Apple all’altro (con tre meccanismi: migrazione via backup locale su iTunes, via cloud oppure passaggio dei dati diretto tra telefonini). Android è un po’ più in difficoltà ma a quanto pare la quadra è stata trovata e la nuova app Switch to Android è praticamente pronta.

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Fantascienza o futuro

La vera scommessa però sarebbe riuscire a fare una cosa diversa: a trasferire i dati da un dispositivo all’altro senza problemi, semplicemente usando uno o due selettori con poche domande chiare e senza rischi. Le tecnologie certamente ci sono ma, come per tutte le forme di interoperabilità, le cose non sono sempre così facili come sembra.

Se fossimo un antitrust o una associazione di utenti anziché una testata online (una delle più vecchie per quanto riguarda il mondo Apple in Italia) chiederemmo a gran voce che si trovi una soluzione. Che i veri problemi di antitrust sono quelli relativi alle barriere per lo spostamento da un telefono all’altro, non ragionamenti teorici che alla fine mirano semplicemente a fare l’interesse di qualche altra grande azienda.

L’app Switch to Android di Google è una buona idea? Certamente favorire gli spostamenti va sempre bene e, ammesso che Switch to Android sappia fare il suo mestiere e aiuti gli utenti, allora perché no?

Il vero problema è che cosa succederà veramente usando la app, quanti problemi riuscirà veramente a risolvere e quanti invece ne genererà. Come per tutte le cose, ci vuole un po’ di tempo, di uso sul campo e di prove per vedere cosa funziona, cosa è da rivedere e cosa proprio è sbagliato. L’idea di Switch to Android è un po’ disperata, ammettiamolo. È Google che ha finito di raschiare il fondo del barile delle conversioni interne e cerca di offrire spazi nuovi ai suoi fornitori di telefonini.

I quali fanno prodotti diversi e storicamente a malapena compatibili con Android, figuriamoci con una app centralizzata che deve essere in grado di riposizionare tutti i dati di iOS in Android. o forse li riposiziona solo sulle app di Google e tutto il resto passa in cavalleria? Certo, sarebbe una brutta cosa, ma dopotutto quando l’arbitro è anche uno dei giocatori, viene da pensare che il risultato non sia così scontato.

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