Continuano a essere negativi i dati delle vendite relativi all’esportazione dei segnatempo Swiss-made principalmente per mancanza di interesse da parti dei clienti. Gli ultimi dati resi noti dalla Federazione dell’industria orologeria svizzera (qui in PDF), non sono affatto positivi. Rispetto allo scorso anno, il valore delle esportazioni è diminuito dell’11,1% (ora pari a 1,6 miliardi di franchi); nei primi quattro mesi dell’anno la contrazione è stata pari al -9,5%.
Le statistiche fanno riferimento a dati consolidati delle più importanti aziende del paese, dai quali si evince che il problema riguarda in particolare i modelli costosi (superiori ai 3.000 franchi) che sembrano attirare meno persone rispetto agli anni precedenti. Solo verso gli USA si registra un modesto +1,2% in termini di esportazioni, mentre tutte le altre nazioni segnano un rallentamento (in Cina il dato arriva a -36% rispetto allo scorso anno). In Europa il declino è particolarmente sentito in Italia (-12,3%) e Germania (-11,1%); i dati sono un po’ migliori in Giappone (-5,8%) ma sempre di numeri in negativo si tratta.
A febbraio di quest’anno Forbes ha evidenziato il problema spiegando che le vendite di orologi di lusso svizzeri sono in calo anche per colpa del cosiddetto “mercato grigio” nel quale nuovi modelli possono essere acquistati anche al 60% in meno rispetto al prezzo ufficiale, un mercato cresciuto anche per l’eccesso di produzione derivante dalle vendite dal 2009 al 2014, un surplus che ha riempito le vetrine di rivenditori non ufficiali che applicano sconti dal 15% al 60% rispetto ai prezzi di listino.
Alcuni produttori stanno cercando di affrontare il problema presentando linee più “economiche”: case come Piaget che prima non vendevano prodotti a meno di 10.000 euro ora propongono orologi da 7.000 euro. Oltre al rallentamento dell’economia cinese, gli analisti spiegano che il mercato è influenzato dall’eliminazione del tetto al cambio euro-franco introdotto nel 2011 per aumentare il volume delle esportazioni (il valore del franco è cresciuto facendo aumentare i costi di produzione).
Altra minaccia è ovviamente quella della concorrenza degli smartwatch, un modello che gli orologiai del paese fino a qualche tempo fa sembravano volere snobbare. Uno studio realizzato da Deloitte nel 2014 evidenziava che solo l’11% dei dirigenti di aziende di orologeria ritenevano gli smartwatch una minaccia a livello competitivo; oggi questa percentuale arriva al 25%. TAG Heuer e altri hanno cominciato a proporre da poco i loro smartwatch, affiancando questi dispositivi ai tradizionali prodotti meccanici.