Il New York Times riporta le lamentale di alcuni malati di cancro che riferiscono di essere target di annunci pubblicitari di Facebook che continua a proporre loro “cure alternative”, false promesse che in tanti vedono come un affronto. Tra gli annunci del social appare di tutto, da miracolose cure e base di semini di cumino, a presunti rimedi naturali come l’argento colloidale. Altri annunci reclamizzano cliniche di lusso e terapie oncologiche non tossiche da praticare su bellissime spiagge messicane.
Anne Borden King, che da anni lotta contro la disinformazione, sa riconoscere i tratti distintivi del marketing propinato dalle pseudoscienze, che propongono rimedi senza alcuna base scientifica, privi di efficacia e in molti casi anche pericolosi. La donna, consulente del gruppo di vigilanza Bad Science Watch, fa notare come Facebook l’abbia in qualche modo “identificata”, giacché vede continuamente nel suo newsfeed queste pubblicità, mai annunci seri di assistenza in campo oncologico ma sempre e comunque prodotti che hanno a che fare con le pseudo-scienza e promettono l’impossibile.
Le aziende che pubblicizzano questi prodotti, spiega l’articolista, puntano sulle paure dei malati, sull’isolamento cui molti sono costretti in questo periodo, pubblicizzando inesistenti cure che mettono fine al dolore, sfruttano la loro fragilità per proporre inesistenti alternative a trattamenti che hanno spesso effetti collaterali poco piacevoli. “Alla vista del mio corpo dopo un recente intervento chirurgico, anch’io avrei dato tutto per scegliere in alternativa una di quelle spiagge messicane”, “ma sono stata altresì testimone delle loro false promesse: ho parlato con qualcuno che ha deciso di volare verso quelle spiagge solo per tornare a casa poco dopo con la consapevolezza che il suo tumore era inoperabile”.
È dimostrato che il tasso di mortalità tra le persone con il cancro è molto elevato tra quelle che decidono di scegliere terapie alternative. “Facebook è onnipresente nelle nostre vite” e le persone lo sfruttano per cercare informazioni e gruppi di supporto che si occupano di salute”; il social dovrebbe avere un’etica e non proporre truffe e disinformazione. Solo da aprile di quest’anno ha eliminato la “pseudoscienza” tra le categorie utilizzabili dagli inserzionisti per scegliere il pubblico dei loro spot sul social network, categoria nella quale rientrano i profili di 78 milioni di utenti, fino a poco da utilizzabili senza problemi da chi diffonde disinformazione.
Dall’inizio della pandemia da coronavirus, su Facebook è stata fatta pressione affinché venissero rimossi post con false informazioni, propinanti da siti di tutti i tipi il cui unico interesse è la monetizzazione dalle inserzioni. Per contrastare la disinformazione, il social ha fatto sapere che mostrerà un avviso quando ci si accinge a pubblicare un articolo più vecchio tre mesi, una scelta che, a loro dire, dovrebbe evitare che la notizia sia usata fuori contesto e in modo ingannevole. Facebook dovrebbe a breve mostrare un avviso anche quando si condivideranno notizie sul COVID, specificando la fonte e mostrando un link al Centro informazioni sul coronavirus creato agli inizi dell’emergenza sanitaria per fornire informazioni autorevoli.
C’è tanto da fare per bloccare la disinformazione ma Facebook sembra sorda alle richieste di vari gruppi che evidenziano i tanti problemi della piattaforma. Recentemente, rispondendo alle richieste di un gruppo noto come “Stop Hate for Profit”, aziende come Starbucks, Honda, Diageo e Patagonia hanno deciso di bloccare annunci pubblicitari sul social, tentando di spingere al cambiamento il social. Per difendersi dalle accuse, Mark Zuckerberg ha pubblicato un post sul suo profilo affermando che il suo gruppo investe “miliardi di dollari ogni anno per mantenere la comunità sicura ed è costantemente al lavoro con esperti esterni per rivedere e aggiornare le policy”. Rappresentanti di Facebook hanno recentemente accettato di parlare con rappresentanti di Stop Hate for Profit ma questi ultimi hanno riferito che l’incontro non è stato altro che un mero esercizio delle pubbliche relazioni del social.
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