Alla luce della pubblicazione del libro Steve Jobs, di Walter Isaacson, Macitynet ha chiesto ad Antonio Dini che, oltre che nostro collaboratore e giornalista de Il Sole 24 Ore in abito tecnologico, è anche uno dei maggiori e più acuti osservatori italiani del mondo Apple e autore anche di Emozione Apple, un libro sullla “fabbrica dei sogni del XXI secolo” così come essa è stata immaginata da Jobs, un’opinione sulla biografia di Jobs, di esprimere le sue, questa volta, emozioni nella lettura del volume. Pubblichiamo qui di seguito il testo che non è solo una riflessione sul libro, sulla sua architettura e contenuti, ma anche su che cosa significa il libro stesso per il mondo che ha ruotato e continua a ruotare intorno ai dispositivi con la mela morsicata.
L’ultima “One more thing” di Steve Jobs è il libro scritto da Walter Isaacson, uscito ieri nelle librerie fisiche e virtuali di mezzo mondo. Questa la prima cosa che viene in mente scorrendo questo volume, citatissimo, notissimo e acquistatissimo. Parlo di “ultima cosa”, facendo eco a quanto Jobs era uso dire quando doveva introdurre il più sensazionale dei prodotti dei suoi keynote perché davvero la biografia apre, con onestà e quasi brutalità, una senzazionale finestra nella vita e nel carattere di Steve Jobs. Un passo che compie partendo proprio da Jobs stesso, dal suo modo di vivivere e immaginare la vita presentandolo in primo piano in maniera del tutto inedita, non solo perchè è lui, ovviamente, il protagonista o perchè lui stesso aveva fortemente voluto questa biografia, ma perchè si tratta del suo profilo umano e spirituale, scritta da quello che è probabilmente il migliore biografo americano, che non nasconde nulla del controverso, misteriosamente contraddittorio, inusuale, quasi folle per diversi aspetti, carattere di Jobs partendo da esso per raccontare la storia di Apple così come essa è stata vista da Jobs stesso.
Nelle scorse settimane avete visto comparire alcuni estratti del libro su vari siti e giornali. Poi piano piano sono apparsi sempre più numerosi dettagli, pagine-campione di un libro che nell’edizione italiana tocca le 800 pagine (sono 656 per quella americana). Adesso, la corsa a trovare il dettaglio, lo spunto, la chicca da far vedere. Il vostro cronista per una volta non ha voglia di fare il suo lavoro. La lettura di Isaacson che racconta Steve Jobs dopo 40 interviste allo scomparso Ceo di Apple e un centinaio di altre interviste a persone che gli sono state vicine, è qualcosa di diverso da un libro da recensire alla velocità della luce. Va gustato, letto, meditato. Io lo sto leggendo da ieri notte.
È davvero l’ultima volta che Steve Jobs ci parla dicendo cose nuove, seppure congelate mesi fa. Rimane poco altro da dire: i prodotti che arriveranno nei prossimi mesi sui quali ha fatto in tempo a lavorare direttamente – e sappiamo quanto i prodotti fossero il modo fondamentale con il quale Jobs esprimeva il suo talento -, qualche inedito che sicuramente salterà fuori in rete, nei tempi a venire (si parla già di una intervista video di un’ora fatta nel 1995 e altre cose del genere). Poche cose.
La centralità del libro di Isaacson sta tutta nella sua onestà. E Steve Jobs lo aveva molto chiaro, quando ha chiesto che venisse scritto senza nessun suo controllo editoriale. Isaacson non fa mistero dei lati oscuri del carattere di Jobs: maniacale perfezionismo, iracondo, sbandato a tratti, poi focalizzato come un laser, insopportabile e duro, impossibile. Steve Jobs è una figura sfaccettata, non contraddittoria, con aspetti del carattere che probabilmente hanno contribuito in maniera determinante alla realizzazione del personaggio e della sua unica opera: Apple. Isaacson ha lavorato per fare in modo che il libro fosse “onesto”, e probabilmente Jobs non ha voluto neanche leggero. È un libro onesto? Racconta la vera storia di Jobs? C’è davvero incapsulata come una zanzara preistorica nell’ambra fossile, una goccia di quella vita che adesso non è più?
Secondo chi vi sta scrivendo, sì. Sto leggendo “Steve Jobs” sull’iPad e sull’iPhone, acquistato da iBookstore (è un personale omaggio, lo ammetto, ma non avrebbe avuto senso leggerlo in nessun altro modo, anche se la copia fisica ordinata su Amazon sta arrivando con notevole ritardo a causa del super-successo del libro). Lo sto leggendo in italiano anziché aver preso la versione inglese: ottimo lavoro di traduzione per adesso, con una attenzione insolita ai termini tecnici rispetto alla media delle traduzioni nella nostra lingua (kudos al collegio dei traduttori: Paolo Canton, Laura Serra e Luca Vanni, che devono avere avuto oltretutto pochissimo tempo per fare tutto). Sono più o meno a metà del libro. Ve l’ho detto: non ho intenzione di sfasciarmi la lettura di questo libro tirando via semplicemente per trovare i pezzi salienti e fare una recensione. Questa non è una recensione. Steve Jobs se n’è andato, non c’è più, e questo libro è il suo testamento spirituale, in qualche modo. Merita rispetto.
La figura che emerge dal libro è titanica. Uno Steve Jobs magnetico, potente, gigantesco, capace di sconvolgere la vita delle persone e maturare, superando molti dei suoi limiti. Emerge anche il lato umano, la persona “normale” che si è sempre sentita speciale, le sue limitazioni e i suoi difetti. Il mix è inscindibile: Steve Jobs non era più “terribile” come nei suoi primi venti anni di vita, ha costantemente maturato ed è cambiato profondamente, pur rimanendo coerente e sempre portatore di una visione unica, straordinaria. La capacità di emozionare, sia nel privato che sul lavoro e in pubblico, è uno dei suoi tratti salienti, così come la capacità di puntare all’essenziale, di saper cogliere i segnali più importanti e decidere strategie in maniera intuitiva più che semplicemente razionale (frutto della sua rivisitazione delle filosofie orientali) sono uniche.
Come detto in apertura, il libro è davvero la “One more thing” di uno showman straordinario e di un businessman unico, forse il più grande dal secondo dopoguerra ad oggi. Steve Jobs ha unito anime diverse (l’artista, il creatore, lo hippie, il capitano d’impresa, il capitalista, il genio incontrollabile e il sofisticato seduttore, il tecnologo visionario) che alla fine ne fanno un personaggio unico, come ho detto gigantesco, sicuramente insostituibile. Cosa rimane della sua eredità è l’altro grande personaggio del suo libro: accanto alla sua famiglia e agli amici più stretti, il vero grande amore di Steve Jobs è Apple. Una amore totalizzante, assoluto, più forte di qualsiasi cosa. E per Steve Jobs Apple doveva essere i suoi prodotti e un prodotto a sua volta. Qualcosa di bello, elegante, funzionale, essenziale, efficace, ben fatto in tutti i modi possibili. Anche quelli ignoti a tutti, come la sua nota abitudine di pretendere eleganza e perfezione estetica anche nelle componenti interne, nascoste, che gli utenti non vedono.
Questo libro insomma racconta la storia di Steve Jobs come, secondo chi vi scrive, nessun altro ha avuto sinora il modo di farlo. Sia perché Isaacson ha avuto un accesso senza precedenti a Jobs e agli altri protagonisti della sua storia, sia perché Isaacson ha doti di scrittura (sia nella parte di interviste, di organizzazione del materiale che materialmente di stesura del testo, sempre fluido e brillante) non comuni. Ma alla fine quel che si vuole sapere da una recensione – o da una non-recensione come la mia – è una cosa semplice. Questo libro di cosa parla? Me lo consigli? Vale i soldi che chiedono?
Questo libro parla di Steve Jobs in maniera unica e senza peli sulla lingua. È una lettura affascinante, non so a quanto possa “insegnare qualcosa” ma sicuramente è il racconto di una vita come ce ne sono state poche. Steve Jobs può essere amato, odiato, ma difficilmente ignorato. È anche una fotografia ben fatta della nascita e della trasformazione di una industria – quella informatica – sempre più importante per la nostra vita da un angolo unico e assolutamente privilegiato.
Ve lo consiglio? Vivamente. Non starei davanti alla tastiera bluetooth di un vecchio iMac 24 a riempire di caratteri questo documento di TextEdit se non ne fossi convinto. È un bel libro, che si legge davvero bene e ha qualcosa da dire. Se alla fine sarete giunti alla conclusione che lo Steve Jobs che si faceva di Lsd e di acidi in un ashram indiano fosse solo un fuori di testa, ok, va bene anche così, perché sicuramente Steve Jobs è stato anche questo. E anche qualche altra cosa.
Vale il prezzo del “biglietto”? Certo. Dipende dai vostri gusti o dalle vostre abitudini e tradizioni, potete comprare questo libro per la prima volta in Italia su piattaforme e tramite canali diversi: avete almeno tre o quattro negozi che lo possono vendere online e recapitarlo a casa vostra; se avete un iPhone, un iPad o un iPod touch potete comprarlo su iBookstore; potete comprarlo per Kindle e leggerlo letteralmente ovunque (sull’apparecchio di Amazon ma anche su Mac, Pc, tramite browser su decine di computer di tipologie diverse, su iPhone, su iPad, su iPod touch, su Android e Blackberry e Windows Phone). E se non siete avvezzi a queste bellurie della tecnologia, potete sempre andare alla libreria sotto casa e comprarvelo là. Insomma, avete scelta, tantissima scelta, e alcuni dei più fini e deliziosi apparecchi elettronici per poter sperimentare forse per la prima volta le delizie e le gioie e i limiti di un’alternativa alla carta. Avete prezzi diversi per i differenti formati e canali. Vedrete che, se volete seguire il mio consiglio di leggerlo, ne varrà la pena e potrete anche scoprire qualcosa di nuovo.
Adesso però il vostro cronista-per-una-volta-non-tale, vi saluta. È arrivato il momento di terminare questa non-recensione. Spero sia stata di vostro gradimento. Come scrivevo prima, non ho ancora finito il libro e non voglio togliermi il piacere di andare avanti al mio ritmo, alla mia solitaria velocità. Leggere un libro è un’esperienza personale, privata, unica: affettarlo cominciando dal finale di “Steve Jobs” per scrivere una misera recensione come mille altre stanno spuntando su internet, scusatemi se sono franco, non ne vale davvero la pena. Ecco, forse questo potrebbe essere la migliore recensione e al tempo stesso il più onesto giudizio sul libro di Walter Isaacson: vale la pena al punto che preferisco leggerlo come merita anziché scriverne. Poi, fate voi.