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Steve Jobs e il collasso del mercato delle fotocamere

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Sono passati molti anni dalla scomparsa di Steve Jobs. Sono stati scritti altri libri su di lui, è stata aperta una fondazione online a suo nome grazie alla vedova, e in generale il ricordo del co-fondatore di Apple si è trasformato in una sorta di monumento a se stesso.

È anche passato parecchio tempo e ormai sono pochi a chiedersi se questo o quel prodotto sia stato magari intuito da Jobs anche se portato avanti dopo la sua scomparsa. E alcuni, ma sono sempre meno, si chiedono cosa farebbe oggi Jobs di fronte a questo o quel fenomeno. Ad esempio l’AI, ma anche al tema della privacy, al ruolo di aziende come Tesla, al cambiamento costante di paradigma che è presente nel mercato.

Le indicazioni sul futuro

Intanto, però, la figura alquanto complessa di Steve Jobs e difficile da decodificare rimane capace di fornire indicazioni che sono ancora operative, nel senso che il mercato dietro quelle idee e quelle intuizioni raffinate dal suo ragionamento logico ed estremamente pragmatico è rimasto lo stesso.

Uno di questi segmenti è quello della fotografia digitale. La forza di Apple continua a essere la qualità del suo hardware (e del software e servizi che gli fanno da contorno), è la corona della sua produzione da tempo non è più il Macintosh bensì l’iPhone. E una delle ragioni per cui si compra un iPhone (forse la principale?) è la qualità delle foto che scatta.

Cosa aveva previsto Jobs

Quel che Steve Jobs aveva visto, e che è stato registrato di cronisti dell’epoca incluso il pessimo lavoro fatto da Walter Isaacson con la sua biografia autorizzata (ma non rivista) di Steve Jobs, dal titolo eponimo, è la previsione della fine delle macchine fotografiche. Una previsione che precede di sei anni quel che poi è successo nel mercato veramente.

Infatti, prevedendo ancora una volta con straordinaria (e a volte spaventosa) abilità i comportamenti dei consumatori e quindi gli andamenti di mercato del futuro, Jobs si cominciò a preoccupare di quale impatto avrebbe avuto sul best seller iPod (il vero cavallo di battaglia di Apple negli anni 2002-2008) l’uscita di un telefono a marchio Apple.

Cosa farà l’iPod da grande?

Era il 2005 e Steve Jobs stava cercando di trovare la quadra costruendo un potenziale successo futuro ma anche lavorando per preservare il più a lungo possibile il suo successo attuale. La cosa interessante, e che è passata agli atti, è che la preoccupazione dell’impatto che l’iPhone avrebbe avuto sul mondo della musica veniva spiegata ripetutamente all’interno di Apple con un altro esempio.

L’idea era che gli smartphone, una volta dotati di fotocamera, avrebbero completamente distrutto il mercato delle fotocamere digitali e quel che restava del mercato delle fotocamere analogiche. Per Jobs l’idea che la stessa cosa potesse succedere, per via della musica, anche nel mondo dell’iPod era una fonte di costante preoccupazione.

La strategia vincente

Qui bisogna fare una distinzione e prescindere però dalla risposta di Jobs a questo problema. In pratica, sul fronte della musica: l’iPhone divenne anche un iPod e assorbì parte di quel mercato, mentre la gamma di apparecchi per la musica subiva una razionalizzazione ma andò comunque ancora avanti per anni.

Invece, sul fronte della fotografia, il ragionamento cambia. Steve Jobs dava per sicuro il crollo dell’industria fotografica tradizionale che però nel 2005 era ancora in buona salute. Aveva visto lungo perché sei anni dopo si assistette a quel crollo che aveva previsto: la convergenza delle fotocamere compatte, tascabili, punta e scatta, e di molte reflex entry-level, all’interno dei telefoni. Un processo che avrebbe richiesto del tempo ma che cominciò subito dopo il 2010.

Il picco del 2010

È quello l’anno infatti in cui le fotocamere, secondo le ricerche, trovarono il loro punto più alto di sempre. Lo dimostrano grafici e tabelle che poi marcano un calo inarrestabile. Se il digitale aveva sostituito le fotocamere a pellicola, lo smartphone aveva sostituito le fotocamere tradizionali.

Certo, 14 anni dopo l’inizio del crollo rimane ancora un mercato vivo e vivace, con nuovi modelli e nuove soluzioni. Ma è un mercato lillipuziano. È come emozionarsi per la crescita delle vendite dei dischi in vinile: aumentano in doppia e tripla cifra, ma si parla sempre di tirature minime rispetto all’andamento della musica di un tempo.

Steve Jobs e il collasso del mercato delle fotocamere

Il nuovo normale della fotografia

In pratica, gli smartphone hanno spazzato via il mercato delle fotocamere tradizionali e la crescita che era iniziata negli anni Settanta-Ottanta in maniera impetuosa e, nonostante la trasformazione digitale fra il 2000 e il 2010, proprio nell’anno del picco (tutto digitale) è iniziato il precipizio.

Steve Jobs fu capace, così, di vedere lontano: cinque anni nel futuro, praticamente oltre la sua stessa vita.

Dentro la mente di un apripista intuitivo

Questo però non era frutto di una mente analitica e capace di processare infinite quantità di dati. Invece Jobs, oltre a essere un grande semplificatore e comunicatore, era una persona estremamente intuitiva. Una di quelle figure capaci di raccogliere informazioni a destra e a sinistra e poi avere all’improvviso una intuizione spiazzante, precisa, e soprattutto assolutamente vera.

Proprio come un apripista, era in grado di assorbire informazioni, fiutare i venti e percepire ciò che lo attendeva. E da realista pragmatico, sceglieva il modo di trarre vantaggio producendo le cose che sarebbero piaciuti al suo pubblico. “Vedeva” dove convergevano una serie di forze ed era in grado di anticipare i cambiamenti, riorientando le sue energie (e quelle della sua azienda) nelle direzioni giuste.

Oltre ovviamente a vederci chiaro e capire cinque anni prima di tutti che il mercato delle fotocamere digitali tradizionali aveva le ore contate. Questo era Steve Jobs e questo, più che i conigli estratti dai cilindri durante i keynote, è quello che oggi ci manca di più di lui.

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