E’ finalmente arrivata: Sony α7R III è la terza versione della mirrorless Full Frame di punta dell’azienda nipponica migliorata nella reattività, nell’autofocus e nell’autonomia. E’ anche la prima con USB-C, una caratteristica interessante dal punto di vista dello sviluppo di questa porta di nuova generazione.
L’azienda fa infatti sapere che la presa è dotata di tecnologia SuperSpeed USB (USB 3.1 gen. 1) che migliora la versatilità in termini di alimentazione e accessori connessi, oltre a supportare una velocità di trasferimento delle immagini maggiore per la connessione a Mac e PC. Questa particolare implementazione è apprezzabile anche in ottica dell’attrezzatura, in quanto permette di ridurre il numero di accessori – e quindi il peso dello zaino – specialmente se si utilizza un MacBook o un computer con USB-C, permettendo di fatto di portare con sé un solo powerbank e/o alimentatore.
Esteticamente – e costruttivamente – non differisce molto dalla precedente generazione: monta lo stesso sensore FF da 42.4 MP mentre cambia la sensibilità nativa, che passa a 32.000 ISO e migliora il sistema di stabilizzazione ottica a cinque assi, con nuove funzioni e migliore controllo del micromosso. Dove la nuova macchina mette il turbo è invece nell’autofocus, con 425 punti a rilevamento di contrasto che si vanno ad aggiungere ai 399 punti a rilevamento di fase. Raddoppia poi la velocità di lettura del sensore, mentre quella di elaborazione cresce di 1,8 volte: il tutto – spiega Sony – porta a una migliore reattività della fotocamera, con maggiore velocità nel punta e scatta al volo e tempi dimezzati in accensione e messa a fuoco.
Sony dimostra di pensare anche ai professionisti e introduce il doppio slot per schede SD per il backup delle fotografie, implementa lo stesso mirino elettronico della top di gamma α9, raddoppia la capacità della batteria e implementa Pixel Shift, una nuova funzione che in breve permette di scattare quattro foto in sequenza (su treppiede) spostando di poco il sensore in maniera autonoma tramite il sistema di stabilizzazione. Queste immagini vengono poi unite via software per creare un’unica immagine con il quadruplo della risoluzione (si parla di quasi 170 megapixel).