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Proviamo a imparare una nuova parola: iOssizzazione. Ripetiamola, per assaporarne il gusto, e per cominciare a pre-digerirla. Sarà bene che diventi sempre più palatabile, che ci si faccia l’abitudine. Perché per noi culturi del Mac, noi che viviamo, veneriamo e respiriamo OS X dalla mattina alla sera, questa sarà la nuova regola.
Certo, non temete, non avremo mai un macOS con le icone da toccare, le finestre da scorrere con la punta delle dita, con le app dell’iPhone ingrandite a dismisura che fanno scomparire le finestre e la scrivania. No no. Non lo avremo mai.
Però abbiamo la convergenza degli apparati di input, la appizzazione di tutti i software, la chiusura nello store di qualsiasi attività fuori dalle regole stabilite dagli esperti di marketing di Apple. E dove una volta c’erano ingegneri che creavano cattedrali e bazaar di software, oggi ci sono kibbutz e stock exchange, reti informali e gamification.
La trackpad diventa sempre più simile a uno schermo multitouch, solo un po’ più in giù per non stancare gli avambracci in posizione verticale. Polsi ben appoggiati e magari domani arriveranno i processori ARM al posto di quelli Intel. L’iPad Pro grande e medio (ma domani arriverà anche il mini Pro?) spaventano il cliente Mac? Non dovrebbe perché c’è già la scelta di mettere a fattor comune non solo i formati dei documenti ma anche le opzioni e le funzionalità delle applicazioni. Tutto resettato a livello di app per iOS, anzi per il cloud.
Abbiamo visto che pian piano i software sempre più complessi stanno abbandonando i paradigmi che una volta marcavano e definivano il mondo delle app del Macintosh. Tutti o quasi i grandi caposaldi del software, dalla videoscrittura alle presentazioni, da Hypercard al foglio di calcolo, sono nati o quantomeno passati in fase neonatale su Macintosh. L’organizzazione del tutto, il modo di concepirla, la strutturazione delle finestre: su tutto il team del Macintosh ha messo la mano. E poi l’imprinting è stato fortemente e vivamente rafforzato dal team di NextStep, con l’interfaccia e i paradigmi di scelta di questo ambiente, a partire dalla terza modalità di scelta delle finestre.
Oggi? Tutto si app-izza. Tutto si iOssizza. Le linee guida della human interface vengono semplificate e reinterpretate dal ristretto gruppo di sacerdoti del design che, attorno a Jony Ive, coltivano un immaginario strepitoso ma estetizzante e ultrasemplificato, un ground zero per il dialogo e l’interazione tra gli oggetti digitali e quelli fisici. Colori puri, forme assolute, niente più mediazioni. I cavetti dei caricabatteria si sfilacciano? È perché il centro design di Ive non vuole l’anello supplementare di plastica che li rinforzerebbe ma che sarebbe una violazione del minimalismo estetico eletto a totem. E allora che cavetto sfilacciato sia. Forma contro funzione.
Il futuro? Un’interfaccia sempre più lunare, convergente su tecnologie aliene, lontane dall’utente, una lavatrice essenziale o un microonde minimalista, più che una efficiente bicicletta per la mente. È questa la strada che stiamo imboccando? Ditemi, è proprio questa?