La raccolta di dati e abitudini degli utenti e delle famiglie ha raggiunto nuovi livelli nelle smart TV e chiavette streaming che vengono addirittura paragonate a un cavallo di Troia nelle case per carpire qualsiasi informazione utile per la pubblicità mirata.
Sotto accusa le aziende legate all’industria dello streaming, inclusi i produttori di smart TV, di chiavette stick, e i fornitori di servizi per film e serie TV in streaming, che avrebbero creato creato “sistemi di sorveglianza” che da tempo mettono in pericolo la privacy e la tutela dei consumatori.
Ad affermalo è lo statunitense Center for Digital Democracy (CDD), organizzazione non-profit la cui missione è quella di “Garantire che le tecnologie digitali siano funzionali e rafforzino valori democratici”, la salvaguardia dei diritti civili e umani dei cittadini e la “promozione di equità ed imparzialità”.
In un report inviato dal CDD alla Federal Trade Commission (FTC) si evidenzia l’uso di tecniche di tracciamento senza precedenti che hanno l’obiettivo di soddisfare gli inserzionisti, ma che trasformano la fruizione delle TV smart e connesse in un “incubo” dal punto di vista della privacy, secondo quanto afferma Jeffrey Chester, co-autore del report e direttore generale del CDD, chiedendo a gran voce una regolamentazione più stringente.
Nel report di 48 pagine (qui in PDF) si citano varie fonti (inclusi blog, dichiarazioni di big del settore e portavoce di realtà quali Amazon, NBC Universal, Tubi, LG, Samsung e Vizio), evidenziando vari modi con i quali i fornitori di servizi di streaming e di hardware per lo streaming, prendono di mira gli spettatori, con conseguenti rischi per la privacy.
Nella lettera (PDF) inviata alla FTC, alla Federal Communications Commission (FCC), al Procuratore generale della California e alla California Privacy Protection Agency (CPPA) si sottolineano preoccupazioni per quanto emerso. “Non solo gli operatori delle CTV (Connected TV, ndr) operano con modalità scorrette verso i consumatori, ma mettono a rischio questi ultimi e le loro famiglie, raccogliendo dati sensibili su salute, bambini, razza, interessi politici”, si legge nel documento firmato da Chester.
L’associazione mira a ottenere garanzie nelle la protezione dei dati personali, e combattere pratiche anticoncorrenziali evidenziando limiti nei modelli attualmente seguiti. Si propone di espandere la legislazione esistente, il Video Privacy Protection Act del 1988, indicata come un passo fondamentale verso un sistema più equo e trasparente. Senza azioni dedicate e puntuali, il rischio è di consentire sfruttamento e disuguaglianza, con i cittadini bersagli di una macchina pubblicitaria imponente e inaffrontabile.
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