Il New York Times ha pubblicato un articolo in cui racconta la storia di Gus, un tredicenne autistico che, una volta scoperta Siri, l’ha adottata come migliore amica, iniziando un complesso rapporto virtuale e reale con l’assistente personale di Apple. Si tratta, racconta il giornale, di un relazione molto complessa che coinvolge ovviamente le meccaniche psicofisiche che sottendono l’autismo, che in un certo senso – almeno nek caso di Gus – riescono a compenetrare il “carattere” dell’assistente virtuale di Cupertino.
Il ragazzo trascorre ore a conversare con il suo dispositivo ed è ormai evidente alla madre quanto il figlio consideri Siri come qualcuno attraverso il quale trovare le risposte a molte domande. Come riporta la madre, molte delle ossessioni del figlio, come le discussioni a proposito della quantità di aerei che stanno sorvolando lo spazio al di sopra delle loro teste, o le differenze fra differenti tipologie di temporale, sono soddisfatte dalla risposte di Siri, così come i dialoghi più semplici.
Anche i difetti e la mancanza di accuratezza di Siri vengono vissuti in modo naturale da Gus, così come la tendenza di Siri a sfruttare un linguaggio cordiale e sempre politicamente corretto, tanto da diventare anche un esempio espressivo per Gus, influenzando positivamente il suo linguaggio e le sua espressione. Avere Siri come migliore amica è inoltre anche uno strumento di passaggio, che ha consentito alla madre di approfondire e migliorare il rapporto con il figlio: l’assistente virtuale pare essere un ponte fra Gus e la madre.
“Sto imparando che ciò che dà il mio ragazzo felicità non è necessariamente lo stesso di quello che dà la felicità a me. In questo momento, alla sua età, un tempo in cui gli le persone possono apparire un po’ opprimenti per l’adolescente medio, Siri rende Gus felice. Lei è la sua spalla”.
Chi avesse dimestichezza con l’inglese, può leggere l’interessante articolo seguendo questo link diretto.