La crisi che colpisce Sharp e che per ora non sembra avere ancora una luce in fondo al tunnel, potrebbe costringere l’azienda giapponese a vendere a Foxconn due impianti di assemblaggio TV che possiede in Messico e in Cina e corre il rischio di rimettere in discussione la cessione delle quote azionarie che dovrebbero passare proprio a Foxconn. Le voci, riportate dal sempre autorevole Wall Street Journal e da Bloomberg, scaturiscono a margine di una complessa vicenda finanziaria e strutturale che sta mettendo a rischio il futuro stesso di Sharp.
Il colosso di Osaka, la più antica azienda IT giapponese (ha inventato il primo computer a transistor nel 1964, ma è stata fondata nel 1912 per produrre fibbie per cintura, ottenendo il primo successo commerciale con una matita a scatto, la Ever Sharp, nel 1915), sta progettando il licenziamento di 8.000 persone, una mossa dolorosa per una impresa che dal 1950 non ha mai usato l’arma delle estromissioni dal lavoro per fare fronte alla crisi. Anzi, mentre nel corso degli anni le due principali concorrenti domestiche, Panasonic e Sony portavano stabilimenti fuori dal paese, Sharp riusciva a produrre profitti e posti di lavoro facendo crescere i suoi impianti in Giappone.
Ma da quattro anni a questa parte il crollo delle vendite delle TV, i costi al ribasso dei pannelli LCD (dove Sharp ha sempre spuntato enormi profitti grazie alle sue tecnologie all’avanguardia) e il rafforzamento dello Yen che ha favorito le rivali coreane, hanno determinato una concatenata serie di perdite di bilancio che si stanno aggravando e, conseguentemente, portato in riserva le risorse finanziarie. Di qui la decisione di ristrutturare la propria forza lavoro offrendo incentivi a 5000 dipendenti per lasciare l’azienda e cedendo gli impianti all’estero con i 3000 dipendenti che fanno funzionare le catene di montaggio. Ma i licenziamenti sono solo una delle parti di una profonda ristrutturazione: Sharp pensa di vendere anche il business delle fotocopiatrici, quello dei condizionatori d’aria, di vendere lo stabilimento giapponese per la produzione di pannelli solari e di creare una società separata per la gestione dell’impianto schermi TV che ha nella parte centrale del Giappone. Infine deve trovare un modo di ottenere nuovi prestiti da Mizuho Corporate Bank Ltd. e Bank of Tokyo Mitsubishi UFJ e di estendere gli attuali, operazione non semplice visto lo scenario.
Gli investitori restano molto preoccupati perché l’impressione, come dice Nobuo Kurahashi, un analista di Mizuho Financial Group, è che Sharp stia disperatamente cercando di monetizzare per avere soldi a breve, piuttosto che ristrutturare per tornare a crescere in futuro e infatti i suoi crediti a lungo termine sono stati degradati da Standard & Poor’s a BBB, solo un gradino sopra il “livello-spazzatura” ed entro 12 mesi il giudizio potrebbe essere ulteriormente abbassato a BBB-. Non stupisce che le azioni Sharp siano le peggiori del Nikkei 225 e abbiano toccato i minimi degli ultimi 38 anni giusto il giorno di Ferragosto. Stupisce ancora meno Foxconn, che dovrebbe essere una delle ancore di salvezza di Sharp con l’acquisto di una ingente quota azionaria ha dichiarato che intende rinegoziare il prezzo inizialmente stabilito (550 Yen per azione per un totale del 9,9% capitale) citando il calo del valore di mercato, crollato del 25% da marzo, quando era stato stilato l’accordo. Sharp sostiene invece che le clausole sono ancora vigenti, ma si dice anche disposta a discutere su come rendere il patto più effettivo.
La crisi di Sharp tocca molto da vicino Apple per varie ragioni. L’azienda giapponese fornisce componenti per iPhone e iPad, potrebbe fornire i display dei nuovi iPhone 5 e, soprattutto, essere alla base della Apple Tv di prossima generazione per via proprio dell’accordo con Foxconn. È indubbio, infatti, che la crisi e le vicende connesse alla partnership con i cinesi guidati da Terry Gou (che ha investito personalmente nel patto con Sharp) sono destinate ad incidere più o meno direttamente sulle strategie di Cupertino.