Non c’è solo la crisi dietro al progetto di chiudere uno o due impianti hi-tech negli Stati Uniti da parte di Seagate, mettendo così sulla strada 800 o mille lavoratori specializzati. Dietro c’è una serie di fattori ben più complessi che questa azienda, uno dei principali attori del mercato degli hard disk, ben rappresenta e sintetizza.
Seagate ha bisogno di ridurre al di sotto dei 300 milioni di dollari le spese, sostengono gli analisti,e per fare questo sta per dare un taglio importante alla sua attività chiave, cioè la produzione di dischi rigidi. Questo vuol dire chiudere fabbriche e tagliare competenze che difficilmente sarà in grado di recuperare di nuovo. Far funzionare una fabbrica di dischi rigidi è un processo complesso e che richiede competenze anche tra la manodopera molto avanzate.
Però, dall’altro lato, Seagate è schiacciata da due problemi esterni. Da un lato, il mercato si sta spostando verso i supporti allo stato solido. Produrre hard disk non è più lucroso come una volta, anche se rimane sempre costoso. Perché gli hard disk sono più economici delle memorie flash da comprare, hanno una densità di dati maggiore sia per dimensioni che per costo, ma non per questo hanno meno ricerca e meno tecnologia dietro in fase di progettazione.
La vera differenza è che adesso sono studiati, prodotti e realizzati integralmente anche da produttori esterni. In Asia si lavora con gli stessi ritmi degli Usa per produrre i dischi da 2.5 pollici, ad esempio, che nel terzo trimestre Seagate vuol commercializzare con capienze da 320 e 640 Gigabyte. Ideali per portatili, nel 2010 daranno filo da torcere agli SSD.
E questi ultimi? L’azienda si è mossa per produrli. Utilizza tecnologie acquistate velocemente (soprattutto quelle di SandForce, con controller e flash MLC), per riempire il ritardo accumulato, tanta era la concentrazione nel settore dei dischi. Forse ha ritenuto per anni di dover giocare la partita dell’eccellenza in un settore, quello dei piatti rotanti e non delle memorie di silicio, ma il risultato ora è la chiusura di fabbriche, i licenziamenti e il rischio di non essere più competitivi nel futuro prossimo.