Stiamo uccidendo il web. Con un colpo alla nuca, secco e ben calibrato dall’avidità e dal bisogno di monetizzare sempre di più, senza farsi cannibalizzare dagli altri. Anzi, cannibalizzando tutto quello che si può cannibalizzare.
Lo stiamo uccidendo con la nuova ricerca di Google, che farà fuori la lista infinita di pagine proposte come risposta alle nostre domande: pagine da cliccare e andare a vedere una per una. Lo farà sostituendo tutto questo con una risposta scritta dalla AI di Google.
Lo hanno detto quelli di Google all’ultima conferenza I/O che più chiaramente di così non si poteva. E lo ripetiamo qui nel caso ve la siate persa: il web sta per essere ucciso e a sparargli nella nuca sarà Google (con buona pace di Microsoft e OpenAI).
L’AI dello scandalo
Ad esempio, cercando “miglior ricetta di carbonara” non verranno più fuori i siti con la reputazione migliore, ma un testo scritto direttamente dalla AI di Google che ripete la ricetta migliore, “imparata” navigando in rete al posto nostro.
Potreste dire: e allora? Meglio, no? Beh, no. E già, se fate questo tipo di domanda, qualcosa vuol dire. Ad esempio, che non avete ben chiaro di cosa stiamo parlando. Perché non ci vuole il buon senso di un attività per i diritti degli utenti, basta quello del buon padre di famiglia. Una formula giuridica per indicare la diligenza che bisognerebbe metterci nel capire come si fanno le cose. Ma andiamo con ordine.
La lasagna della complessità
Il mondo è diventato troppo complicato per essere capito. Quello digitale poi è incomprensibile. Quelli vecchi sono troppo vecchi, Quelli maturi hanno troppo da fare per stargli dietro. Quelli giovani sono nativi digitali nel senso che, come i pesci, neanche si rendono conto di nuotare nell’acqua. Pensano che sia sempre stato tutto così.
Tuttavia i problemi sono gravi. È una questione di concetti e quindi di parole per rappresentarli. Parole che non controlliamo e che anzi molto spesso usiamo a caso. Attenzione, non occorre essere informatici di professione per orientarsi in questi concetti. Però se non ci si orienta si sono già perse tutte le partite: si diventa persone di serie B, che subiscono qualsiasi cambiamento dettato dalla complessità.
Web, rete e Internet
L’ignoranza digitale è quella cosa per cui le persone ignorano, cioè non conoscono i termini, le tecnologie e i rapporti delle cose fatte di bit. È il digital divide culturale. Nel mondo della rete è molto semplice: la usiamo tutti ma non ci rendiamo conto di cosa stiamo facendo.
Una distinzione: la prima è terminologica ma sostanziale. Web e Rete (o Internet) non sono sinonimi. La “Rete” o “Internet” è una infrastruttura per il trasferimento dei dati. Questi ultimi possono essere organizzati, codificati e mostrati in maniere diverse e tra loro incompatibili. Il “web” sono le pagine che vengono mostrate dai browser. Non sono Internet più di quanto non si confonda un’autostrada con un’automobile o un camion. Rimanendo in questa analogia, se i camion sono le pagine web, le mail sono le automobili. E i treni sono lo streaming. Usa sempre internet, ma in modo differente.
Poi, tutto quanto avviene quasi sempre nel browser. O spesso in app che sono in realtà dei mini browser trasformati in app e fatti apposta per mostrare sempre lo stesso sito fortemente interattivo.
Browser e motori di ricerca
Abbiamo visto un browser, nato per mostrare le pagine web ma che in realtà adesso mostra un po’ di tutto, perché molti altri servizi (la posta elettronica, lo streaming) pur essendo codifiche basate su protocolli diversi da quelli del web, spesso hanno una interfaccia web.
Ma c’è un’altra attività che viene fatta dai browser, in maniera furbetta. È stata Google la prima a introdurla con Chrome e poi Safari, Firefox, Internet Explorer, Edge e tutti gli altri si sono prontamente adeguati a fare e seguire. La ricerca nella stessa barra dove si scrivono gli indirizzi internet.
È più pratico fare così ma questa cosa ha portato a una delle più grandi distorsioni della nostra era. Pericolosissima perché ha nascosto il dominio delle aziende che forniscono servizi di ricerca (i cosiddetti “motori di ricerca”) agli occhi del pubblico. Nella stessa barra si scrive o si incolla un indirizzo web (quelli che cominciano con “https”, per intendersi) oppure solo alcune parole che poi portano a una pagina di un motore di ricerca con i risultati.
Quell’azione oggi non è più capita e moltissime persone confondono cosa sia un motore di ricerca con un browser, pensando che le due cose, dato che avvengono nello stesso spazio (la barra degli indirizzi), siano sostanzialmente identiche. Non potrebbero essere più diverse.
Giardini aperti o chiusi
Un’altra distinzione: i servizi dei social come Facebook, Instagram, Youtube, TikTok, X e via dicendo sono tutti pensati come gigantesche app all’interno delle quali ci sono i contenuti caricati dagli utenti e le pubblicità.
Non sono “web”, sono social. Non sono aperti, sono chiusi. Si entra dentro il recinto del giardino di Facebook e là si rimane. I social sono come l’Hotel California degli Eagles: dopo che sei entrato non vogliono più farti uscire. X, ad esempio, sta ostacolando il più possibile l’uscita dal flusso dei tweet mostrando solo le anteprime e non gli indirizzi. E tutti i social amano che i contenuti vengano caricati al loro interno, per tenere gli utenti “prigionieri”, mettendo in crisi invece il web aperto, fatte di pagine create da utenti su altri server e con altri scopi e senza censure possibili.
Il web da questo punto di vista è un unico gigantesco giardino aperto. Così come lo sono stati i grandi standard per i forum, oggi praticamente sradicati e cancellati dall’evoluzione della rete.
L’ordine della ricerca e il killer AI
Nel tempo il web è diventato sempre più grande: dalla sua nascita degli anni Novanta a oggi ha visto una serie di grandi trasformazioni ma una valutazione di fondo rimane sempre aperta. Il web è una “ragnatela” di ipertesti: si chiama world wide web, ragnatela grande quanto il mondo, perché è composta da una serie di pagine collegate tra loro in maniera non lineare (come le pagine che si susseguono in ordine in un libro) ma attraverso i “salti” dei link, cioè della parte ipertestuale del suo contenuto.
Questi salti hanno reso ovviamente impossibile “scoprire” i contenuti agli utenti, perché l’organizzazione è straordinariamente più complessa e priva di indici strutturati. Navigare la rete non è come entrare in una biblioteca. La soluzione? I motori di ricerca.
Cioè dei servizi che hanno permesso di fare ordine non sulla base di un catalogo statico (ricerca per termini, in ordina alfabetico e parole chiave predefinite, come in un catalogo di una biblioteca) bensì con algoritmi che fanno incrociare da un lato la chiave di ricerca e dall’altra i siti migliori per quella determinata chiave, sulla base della loro “reputazione”.
Il senso della ricerca
Google ci ha costruito il suo potere sopra, e il web è crescito per questo, diventando la piattaforma principale della conoscienza umana. Nonostante l’attacco dei social, che hanno cercato di spostare le persone e quindi la conoscenza fuori dal web aperto e metterlo nei loro recinti chiusi, questo in buona parte è ancora vero. La parte più abitata della rete è sempre il web.
Tutto questo però va a finire contro un muro insuperabile. Se il principale strumento di ricerca in rete si rifiuta di dire qual è la pagina migliore che elenca i primi dischi di Eros Ramazzotti e invece te li elenca direttamente, se il principale strumento per la ricerca si rifiuta di dire quali sono i siti in cui sono indicati i locali aperti stasera, i voli per andare alle Maldive, il colore del cavallo bianco di Napoleone, e invece ti dà direttamente lui la risposta, allora pian piano (e neanche troppo piano a nostro avviso) i siti non avranno più significato e il web di consuegenza morirà molto rapidamente.
E sarà una grande perdita per tutti.
P.S: a ulteriore conferma aggiungiamo questo piccolo ma significativo indizio, che pochi hanno notato ma che rivela invece molto.
Provate ad utilizzare il motore di ricerca di Google e navigate nel menu in alto: troverete un semplice tab che permette di selezionare risultati non dalle news, per immagini, finanza o video ma, più singolarmente, del tipo “web” lascia pensare a una sola cosa: che gli altri risultati NON siano del web.