La nostra crittografia dati è più sicura di quella Apple. Questo quanto lascia intendere Eric Schmidt, presidente del consiglio di amministrazione di Google commentando la recente lettera aperta pubblicata da Tim Cook atta ad approfondire il discorso sul binomio Apple-Privacy recentemente apparso sotto i riflettori in tutto il mondo per via del furto delle foto private di diverse celebrità per mezzo di iCloud.
“Qualcuno – spiega Schmidt con un velo di ironia, riferendosi a Tim Cook – non ha fatto un resoconto corretto sulle politiche di Google: è un vero peccato. Apple dice di non aver mai monetizzato con le informazioni contenute nei dispositivi iOS o in iCloud, di non aver mai letto le email ed i messaggi né di aver mai costruito un profilo sulla base dei contenuti email o della navigazione web, vendendo le abitudini degli utenti agli inserzionisti” ripete Schmidt, spiegando però che Apple fa queste dichiarazioni facendo sembrare che tutto ciò sia invece parte fondamentale del funzionamento della sua azienda.
Attraverso l’intervista rilasciata alla CNN Money ha difeso Google spiegando che i sistemi utilizzati da Big G sono i più sicuri e criptati di chiunque altro, compresi quelli di Apple la quale “sta recuperando terreno, il che è fantastico”. Non mancano comunque i mea culpa riguardo il fatto che per oltre un decennio l’azienda di Mountain View ha mostrato annunci pubblicitari in Gmail sulla base delle abitudini degli utenti, cercando di coprire tale azione spiegando che non sembra essere però servita a nulla. A parte questo – dice Schmidt – Google non ha fatto nient’altro di quanto dice Cook nella lettera.
Spostando poi l’attenzione sul recente incidente relativo alla privacy delle celebrità, afferma che per Google è “incredibilmente difficile” mantenere i dati privati ma comunque offre gli strumenti necessari per rimuoverli tutti, puntando poi il dito alle recenti accuse di aver facilitato la diffusione delle foto delle celebrità che potrebbe sfociare in una querela da 100 milioni di dollari. Non sarebbe la prima volta per Google, che non è poi così innocente come vorrebbe far credere: nel 2012 infatti pagò una multa pari a 22,5 milioni di dollari come sanzione per aver circuìto la privacy degli utenti Apple che usano il browser Safari, mentre nell’aprile dello scorso anno pagò 145 milioni di dollari in quella che fu definita da tutti “la più grande violazione di dati mai vista”.