Razer dovrà sganciare 1,1 milioni di dollari per rimborsare gli utenti che hanno acquistato la mascherina Zephyr con gli RGB, presentata come un purificatore d’aria, con due ventole che dovrebbero garantire migliore circolazione e raffreddamento.
I rimborsi proposti sono indicati in un accordo siglato lunedì 28 aprile con la Federal Trade Commission, autorità statunitense che si occupa, tra le altre cose, di promuovere la tutela dei consumatori.
Il sito The Verge spiega che a far rizzare le antenne alla FTC è stato il fatto che la mascherina in questione era in passato pubblicizzata con l’indicazione N95 (facendo presupporre il 95% di capacità filtrante secondo quanto stabilito da normative che ne certificano le caratteristiche tecniche) ma a quanto pare Razer non ha mai sottoposto a test del settore le mascherine in questione. Le Zephyr non sono neanche N95 o FFP2 e in seguito alla scoperta del problema, l’azienda si era affrettata a eliminare i riferimenti alla presenza di “filtri N95” dal materiale di marketing. A gennaio 2022 l’azienda si era impegnata inoltre a contattare gli acquirenti per offrire chiarimenti.
Razer aveva iniziato a occuparsi di mascherine protettive durante il COVID, vendendo mascherine classiche e poi quello che doveva essere il “pezzo forte”: Razer Zephyr, un purificatore d’aria indossabile e luminoso, venduto a 100$ per il quale indicava la presenza di un “filtro N95”. Quest’ultimo elemento, avevano fatto notare diversi osservatori, non rendeva automaticamente la mascherina come conforme N95 (e Ffp2); l’indicazione poteva ingannare le persone, indipendentemente dalle dichiarazioni in caratteri minuscoli di non responsabilità dell’azienda.
Razer intendeva presentare anche una variante “Pro” della mascherina, da vendere a 150$ ma dopo quanto accaduto ha probabilmente preferito lasciar perdere il progetto.
Nell’accordo proposto alla FTC, a Razer è stato chiesto di pagare un’ammenda di 100.000$; all’azienda è stato inoltre vietato di rappresentare in modo fuorviante tematiche relative al COVID e altre “infondate indicazioni sulla salute”.