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Samsung ha aperto l’era degli anelli smart per tutti?

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Siamo quasi alla fine dell’evento “Galaxy Unpacked” di Samsung: ore di diretta disponibili anche su YouTube della quale abbiamo parlato qui. Presentato il nuovo Samsung Galaxy S24 con intelligenza artificiale ovunque e nuove funzionalità (oltre a processore, fotocamera e design leggermente ritoccato con vetro non più incurvato: un vantaggio per chi scrive molto con il pennino). Ma assieme al telefono l’azienda coreana, in un evento che ha forti differenze ma anche alcune simmetrie con quelli organizzati da Apple per il lancio dei suoi prodotti, coglie anche l’occasione per presentare una serie di altri prodotti e servizi, tra cui una forte enfasi sul settore sport e salute (Samsung Health).

Proprio in quest’ultimo ambito, che è uno dei più lucrosi del mondo dei wearable digitali, gli strumenti sempre con noi di cui gli smartwatch sono forse la categoria più popolare (grazie ad Apple e ai produttori di smart-band), arriva un momento di sorpresa di quelli a cui ci aveva abituato Steve Jobs. Una specie di “One More Thing” in salsa coreana che tuttavia è anche agrodolce: promettente ma anche un po’ deludente.

Samsung ha infatti presentato il Galaxy Ring (qui i particolari della presentazione), l’anello biometrico che serve per stare sempre assieme agli utenti raccogliendo informazioni sullo stato di salute anche quando il telefono o l’orologio non ci sono o non sono disponibili. Attenzione, una mossa coraggiosa, perché sinora questo mercato è minuscolo ma nel suo piccolo è stato dominato da aziende che fanno solo quello: produrre anelli smart, a partire dalla più famosa di tutte cioè l’americana Oura Ring.

Perché la mossa di Samsung è importante, anche se leggermente deludente, soprattutto dopo che il primo brevetto dell’azienda per uno smart ring è stato depositato a ottobre del 2022, cioè in realtà una vita fa, dal punto di vista tecnologico?

Galaxy Ring, Samsung al lavoro su un anello smart

Storia e senso degli anelli smart

Facciamo un piccolo passo indietro. L’anello smart è una cosa da fantascienza. Potrebbe essere il dispositivo indossabile che tutti portano: non è differente concettualmente da un sensore sempre con noi, non ha bisogno di supporti da attaccare al vestito (forse solo un braccialetto, una collana o un orecchino potrebbe fare meglio) e permette di ottenere due risultati. Da un lato raccoglie informazioni, a seconda dei sensori che ci sono a bordo (temperatura, movimento e via dicendo). Dall’altro offre un sistema di autenticazione personale, se ha la possibilità di funzionare da token “fisico” che appartiene all’utente. Potrebbe consentire di aprire la casa, la macchina, accedere al computer, sbloccare il telefono, autorizzare un pagamento e mille altre cose. Tutto con un semplice anello.

Oggi sul mercato ci sono decine di aziende: Oura Ring, Motiv Ring, NFC Ring (questo il marchio, serve ai pagamenti contactless), Ringly Luxe, Nimb Ring, Orii, Motivair Ring, Mota SmartRing, TokenRing (identità digitale sicura), la pioniera McLear e Ultrahuman. Fanno un po’ di tutto: non hanno i classici display degli smartwatch ma possono reagire a stimoli dell’ambiente circostante, vibrare in determinati contesti o situazioni come ad esempio quando si effettua un pagamento (alcuni anche se ci sono notifiche nello smartphone) e poi molto altro ancora. Anche Apple ha piazzato alcuni brevetti nel settore, oltre a venir interpellata per fare in modo che gli smart ring siano compatibili con i suoi iPhone e i servizi contenuti: sopratutto integrati con Salute.

Ma chi ha inventato questi dispositivi, in concreto? E perché non sono mai diventati popolari? Non è solo una questione di prezzo ma anche di difficoltà nel realizzarlo. Il primo smart ring commercializzato è del 2013 ed è stata proprio McLear (azienda britannica fondata da John McLear, Chris Leach e Joe Prencipe) e da allora i progressi sono stati costanti anche se non entusiasmanti. L’idea è che con lo smart ring si possa fare moltissimo anche se poi, per vari motivi (tra cui il rapporto prezzo guadagni, i margini cioè, che non scalano come per altri oggetti) non sono mai stati usati come avrebbero potuto. Al loro posto: sopratutto smartphone, poi molti smartwatch, altri tipi di indossabili.

La delusione

Non giriamoci attorno. Le premesse sono della mossa di Samsung, dal punto di vista “politico”, sono notevoli. Potrebbe essere finalmente la partenza del mercato. Tuttavia, quello che Samsung ha detto è pochissimo e molto poco concreto. Ha accennato che sarà un dispositivo fondamentale per la salute e meno costoso (con riferimento agli anelli di Oura?). Un dispositivo che permetterà di fare cose che però non sono specificate, né è stato mostrato fisicamente né è stato indicato quando verrà messo sul mercato o a che prezzo.

Insomma, quello che Samsung ha fatto è stato presentare, in maniera piuttosto esplosiva, una novità interessante che al tempo stesso è una buona notizia di tecnologia e un vero e proprio vaporware. Non c’è: semplicemente l’annuncio occupa un posto che di fatto apparteneva come mercato a un’altra azienda (Oura), la quale già si trovava a combattere con una serie di apparecchi simili sviluppati da varie aziende cinesi: anelli connessi che funzionano con generiche app e raccolgono dati di movimento e altro con risultati di vario genere.

A pensar male si fa peccato

Quello che viene in mente però è che Samsung non avesse tanto timore di potersi sparare nei piedi annunciando un prodotto che ancora non c’è. O di cannibalizzare il suo stesso mercato, perché in realtà un anello intelligente va a coprire quella fascia di clienti degli smartwatch che hanno desiderio di avere la raccolta delle informazioni di salute e di movimento ma farebbero volentieri a meno di portarsi dietro un orologio smart, se solo potessero. Quindi annunciare un prodotto potenzialmente “cannibale” di altri prodotti di Samsung stessa.

No, qui la sensazione è diversa. Come diceva uno scaltro politico del Novecento, “a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”. E l’idea sarebbe che forse Samsung ha capito che sta per arrivare uno smart ring con la mela o, più probabilmente, uno smart ring fatto da Huawei o Xiaomi (a meno che le aziende cinesi in questione già non lo commercializzino in uno dei loro millemila cataloghi di prodotti che dall’Europa alle volte non vediamo neanche nella loro interezza) e abbia deciso di “occupare” quello spazio per difendersi.

Una difesa che l’azienda coreana, che da tempo ormai è sostanzialmente cambiata e non più considerabile una “copiona” come era all’inizio dell’era dello smartphone, ma segue invece una sua strada anche difficile e punteggiata dalla legge del contrappasso (i copioni asiatici sono altri, in questo caso, e come una muta di cani inferociti ed eccitati dalle quote di mercato inseguono la lepre-Samsung) e vuole occupare lei spazi che i big del settore ancora non sono riusciti a impegnare.

La geopolitica della tecnologia

Qui ci possiamo chiedere che senso ha la mossa strategica di Samsung, perché di questo si tratta: strategia. Infatti annunciare un prodotto che non c’è, senza data di uscita e facendo vedere solo dei rendering a schermo, è sostanzialmente una mossa da giocatori di scacchi e non certo la commercializzazione di un prodotto. Ebbene, cosa vuol dire?

Sappiamo da tempo, vista la storia del prodotto, che l’anello magico capace di fare cose connettendosi è uno sviluppo molto naturale della tecnologia, simile a quello dell’orologio che diventa smart. Le componenti possono miniaturizzarsi sino al livello adeguato per farlo funzionare, è sempre a contatto con noi e per molte persone è anche “cool” da indossare. E soprattutto non deve essere ricaricato in continuazione. Permette quindi di monitorare delle attività (qualità del sonno, attività fisica durante il giorno) senza problemi.

Peccato però che vada a sovrapporsi ad alcune delle funzioni degli smartwatch e che, quindi, forse non sia lo strumento migliore dal punto di vista di chi produce questi ultimi. L’idea di perdere un cliente con lo smartwatch in cambio di uno con il magic ring sembra un colpo importante al fatturato e alle funzionalità integrate che si possono ottenere.

Se, tuttavia, Samsung occupa questo spazio, vuol dire che pensa che ci sia “trippa per gatti”. E questo potrebbe voler dire che secondo l’azienda ci siamo, il mercato è maturato e, nonostante i rischi di cannibalizzazione, vale la pena “entrare” e intervenire. Oppure, Samsung ha capito che in questo settore qualcosa di grosso sta arrivando (magari da Apple, magari questa primavera) e allora per una volta vuole giocare d’anticipo. Chissà. Tra non molto tempo lo vedremo.

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