Prima ci ha fatto parlare con l’intelligenza artificiale, adesso vuole guardarci negli occhi. Sam Altman, il CEO di OpenAI che ha portato ChatGPT nelle nostre vite, ha un nuovo progetto ambizioso: schedare l’iride di ogni essere umano sul pianeta.
Il piano si chiama World (fino a poco fa Worldcoin) e prevede di utilizzare un dispositivo sferico chiamato Orb per scansionare gli occhi, o meglio gli iridi delle persone. In cambio di questa “donazione biometrica”, gli utenti ricevono una manciata di criptovalute e un’identità digitale unica. Sembra una improbabile follia da racconto di fantascienza e invece è reale, oltre che già attiva.
L’idea alla base è tanto semplice quanto inquietante: nell’era dell’intelligenza artificiale, sostiene Altman, abbiamo bisogno di un modo sicuro per distinguere gli umani dai bot. La scansione dell’iride sarebbe la soluzione perfetta, essendo unica per ogni individuo e praticamente impossibile da falsificare. Il sistema dovrebbe garantire che ogni persona possa registrarsi una sola volta, creando così un registro globale di “proof of personhood”, una “prova di umanità” degli individui.
La grande trasformazione
Il progetto ha recentemente cambiato pelle, passando da Worldcoin (chiamato così per via del pugno di dollari in forma di stablecoin dati in cambio della propria anima, no scusate, della scansione dell’iride) a “World Network”, o semplicemente World. Non è solo un cambio di nome: l’infrastruttura si è evoluta in un ecosistema completo che comprende una blockchain dedicata (World Chain), b per gli utenti, una criptovaluta che mantiene il nome Worldcoin, e il sistema di identificazione World ID. È come se Altman stesse costruendo un intero stato digitale, mattone dopo mattone.
Il cuore tecnologico di questa nazione virtuale è il nuovo Orb, presentato nell’ottobre 2024 durante un evento che sembrava più una messa laica della Silicon Valley che una conferenza tecnologica (e di eventi di questo tipo la Silicon Valley ne ha visti davvero tanti). Sul palco, una sfera argentata, potenziata da un chip Nvidia Jetson, che promette di essere cinque volte più veloce della versione precedente nel processo di registrazione e riconoscimento. L’idea è di installare gli Orb ovunque, dai bar ai chioschi self-service, come distributori automatici di identità digitale. Probabilmente Philip K. Dick non avrebbe potuto immaginare un piano migliore.
L’occhio del ciclone
Tuttavia, non c’è rosa senza spine: il progetto sta incontrando resistenze un po’ in tutto il mondo. Il Kenya ha bloccato completamente le operazioni, il Brasile ha vietato di offrire compensi per le scansioni, mentre Germania e Regno Unito hanno aperto indagini sulla gestione dei dati biometrici. Non aiuta il fatto che la maggior parte delle scansioni finora sia stata effettuata in paesi in via di sviluppo, dove le normative sulla privacy sono meno stringenti e 25 dollari in crypto possono fare la differenza nella vita di un cittadino che si trova ai margini della società.
Il MIT Technology Review ha condotto un’inchiesta rivelando un particolare spiacevole che la dice lunga sullo standard dell’iniziativa: gli Orb non si limitano a scansionare l’iride, ma raccolgono anche dati su corpo, volto e altri parametri biometrici. Tools for Humanity, l’azienda non-profit dietro al progetto, ha dovuto correggere più volte le sue informative sulla privacy. La promessa che i dati vengano conservati solo localmente e in forma criptata non ha convinto le autorità di vari paesi.
La grande visione
Eppure Altman non demorde e continua a presentare World come la soluzione definitiva per l’identità digitale del futuro. Durante l’ultimo evento di lancio a San Francisco (password del Wi-Fi: IntelligenceAge, tanto per capire il tono della cosa), l’azienda ha annunciato una partnership con Rappi per portare gli Orb nelle case dei latinoamericani facilmente e rapidamente, come se stessero ordinando una pizza. Il futuro secondo World prevede che potremo farci scansionare l’iride al bar mentre prendiamo il caffè.
Tutti lo odiano ma dietro ci sono i soldi e quindi il progetto si sta espandendo e lo fa anche rapidamente: già un milione di persone avrebbe ceduto i propri dati biometrici in cambio di un po’ di crypto. L’obiettivo è ambizioso: creare un sistema che permetta di verificare l’identità umana in ogni interazione digitale, dalle videochiamate alle transazioni finanziarie. Un mondo in cui ogni battito di ciglia potrebbe essere una firma digitale. Un’idea che ciclicamente è venuta a tanti e il cui vantaggio è evidente. Se una sola azienda “scheda” tutta l’umanità, acquista un potere superiore a quello di qualsiasi nazione. Pensiamo all’idea delle directory universali e proprietarie progettate da Microsoft, ad esempio, o all’uso del sistema di mail più diffuso, Gmail di Google, o di Facebook come identità per autenticarsi ovunque su servizi e altre cose. Viene fatto per praticità o per avere un guadagno di ritorno? Agli ingenui l’ardua risposta.
Il prezzo dell’identità
La domanda di base quindi diventa: siamo davvero pronti a cedere i nostri dati biometrici più sensibili a una startup della Silicon Valley? La questione non è solo tecnica o legale, ma profondamente etica. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo i confini tra umano e macchina, rischiamo di creare un sistema di controllo centralizzato mascherato da soluzione tecnologica.
L’ironia di questa soluzione avanzata da Sam Altman è che per proteggerci dai bot dell’AI, dovremmo affidarci completamente a un sistema creato proprio da chi l’AI la sta sviluppando. È come se per difenderci dai lupi ci affidassimo a un allevatore di lupi. La domanda che dovremmo porci non è quanto valgano i nostri dati biometrici, ma se siamo disposti a barattare la nostra privacy per una manciata di crypto e la promessa di un futuro più sicuro.
Ci sono tanti dubbi su cosa sia “intelligenza” e come quella artificiale sia differente da quella naturale. L’idea di distinguere l’uomo dalla macchina è antica e Altman spinge in una direzione in cui ha senso investire perché nel medio periodo potrebbe essere centrale. Potremmo fare un nuovo test, sulla falsariga di quello pensato settanta anni fa da Alan Turing, per definire chi è uomo e chi è macchina. Un vero test di umanità che non è basato sulla nostra iride, ma sulla capacità di riconoscere quando la tecnologia da soluzione diventa problema. E su questo, gli occhi di Sam Altman sembrano vedere qualcosa di molto diversa da quello che vedono invece i nostri, di occhi.
Un progetto, mille promesse
Non finisce qui, però. Gli obiettivi dichiarati da Tools for Humanity sono dunque ambiziosi quanto controversi. Non si tratta solo di creare un database globale di iridi, ma anche di distribuire una criptovaluta in modo equo a tutta l’umanità per creare una base economica funzionante basata sul concetto di penetrazione del mercato: l’idea di creare uno standard di fatto, insomma. E non è finita neanche qui. Il progetto si spinge fino a proporre un sistema di reddito universale di base, una sorta di manovra finanziaria globale gestita non da governi ma da algoritmi. In un futuro dove le AI saranno onnipresenti, World promette di essere il garante della nostra umanità e del suo benessere.
Non tutte le ciambelle vengono con il buco, però. Ci sono delle resistenze e aumentano giorno dopo giorno. Mentre Hong Kong, Germania, Spagna e Portogallo hanno aperto indagini approfondite, altri paesi hanno direttamente bloccato il progetto. Le critiche si concentrano non solo sulla privacy dei dati biometrici, ma anche sul modello di incentivazione: pagare le persone per ottenere i loro dati biologici suona più come una distopia cyberpunk alla William Gibson che come una soluzione per il futuro dell’umanità.