Nel 2012 a Google negli USA è stata inflitta una multa di 22.5 milioni di dollari per avere bypassato le impostazioni concernenti la privacy degli utenti del browser Safari. La vicenda, lo ricordiamo, fu denunciata dal Wall Street Journal nel 2011: la grande “G” aveva inserito in alcune pagine, invisibili e apparentemente innocenti righe di codice grazie alle quali sarebbe stato possibile aggirare il blocco del tracking, in altre parole il metodo con cui alcuni inserzionisti pubblicitari sono in grado di rilevare le abitudini di navigazione degli utenti e distribuire annunci pubblicitari in linea con gli interessi del pubblico.
Per il problema in questione ci sono nuovi risvolti. Un tribunale inglese ha autorizzato un gruppo di attivisti digitali a portare in giudizio Google per violazione della privacy. La grande “G” sta facendo di tutto per bloccare il processo, una scusa che potrebbe fornire ad attivisti o dissidenti digitali il pretesto per intentare cause in tutto il mondo.
Un portavoce di Google ha commentato che a suo modo di vedere il caso in questione “non soddisfa gli standard richiesti nel Regno Unito per andare in giudizio” e fatto sapere che la società ricorrerà immediatamente.