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Rivoluzione AI parte 1, Il grande seduttore è ChatGPT che balla sul confine umano

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Con questo primo articolo inauguriamo una piccola serie dedicata al mondo dell’Intelligenza Artificiale, con l’obiettivo di analizzare e comprendere a fondo cosa è successo e come funzionano le dinamiche di questo settore in rapida evoluzione. Vogliamo esplorare le implicazioni, le sfide e le opportunità che l’AI presenta, offrendo una visione chiara e informata ai nostri lettori. Restate sintonizzati per i prossimi approfondimenti!

Novembre 2022, una data destinata a restare nella memoria collettiva: ChatGPT fa il suo ingresso nel mondo e in poche settimane conquista cento milioni di utenti, record mai raggiunto da nessun’altra applicazione nella storia. Nessuno immaginava che un’interfaccia di testo così semplice potesse scatenare un terremoto nelle fondamenta di ciò che consideriamo “umano”. Il sipario si alza improvvisamente su un palcoscenico dove macchine capaci di scrivere poesie, codice informatico e saggi filosofici sfidano silenziosamente secoli di esclusività cognitiva della nostra specie. L’homo sapiens sapiens all’improvviso non è più l’unico senziente. Forse.

Per molti questa è stata la prima volta che l’intelligenza artificiale è entrata nelle case come un ospite educato ma inquietante, capace di conversare con naturalezza disarmante. Nonostante avessimo tutti già sperimentato altre tipologie di sistemi esperti, uno così “chiacchierone” ed “espressivo”, un chatbot GenAI, insomma, non l’avevamo mai incontrato. E tutti si emozionano perché l’essere umano, quando avvia una conversazione, come ben sappiamo ha immediatamente la sensazione di parlare con un essere senziente come lui. Anche se è un bot.

La storia inizia però molto prima, nel 2015, quando OpenAI nasce come organizzazione no-profit con una missione tanto ambiziosa quanto romantica: sviluppare un’intelligenza artificiale che benefici l’intera umanità. Elon Musk e Sam Altman, all’epoca ancora amiconi, comunque visionari con i piedi ben piantati nella Silicon Valley (e Musk all’epoca era in apparenza una persona temperamentale ma sostanzialmente equilibrata), raccolgono oltre un miliardo di dollari per inseguire questo sogno utopistico. Ma l’idealismo iniziale si scontra ben presto con la realtà: sviluppare intelligenze artificiali avanzate costa, e costa tantissimo. La svolta arriva nel 2019, quando OpenAI abbandona la purezza nonprofit per diventare una “capped-profit“, una formula ibrida che permette investimenti esterni pur mantenendo un tetto ai profitti. In pratica, per costruire servono soldi e per ottenere finanziamenti deve promettere guadagni: la beneficienza non va più bene.

I soldi chi ce li mette? Tanta gente diversa, ma un passaggio è fondamentale. È l’arrivo di Microsoft con i suoi 10 miliardi di dollari che segna il definitivo passaggio da laboratorio di ricerca a colosso commerciale, un percorso costellato di contraddizioni culminate nella drammatica crisi di governance del novembre 2023 e successivi tentativi di scalata. Qui c’è una vera e propria lotta all’ultimo sangue, dove qualsiasi sbaglio costa una carriera e il futuro dell’azienda. Vince tutto Sam Altman. Il suo licenziamento e la rapida riassunzione hanno mostrato al mondo le profonde tensioni interne tra visione idealistica e ambizioni di mercato. E scontri con Elon Musk. In questo paradosso risiede la prima grande domanda: può un’intelligenza artificiale veramente beneficiare l’umanità intera se è controllata da interessi commerciali così potenti?

Rivoluzione AI, Il grande seduttore è ChatGPT che balla sul confine umano - macitynet.it
Illustrazione Settimio Perlini con Adobe AI

L’inaspettato cavallo di Troia

ChatGPT si è rivelato il perfetto cavallo di Troia dell’intelligenza artificiale, entrando nelle nostre vite senza incontrare resistenza, anzi, accolto con entusiasmo. La genialità non sta tanto nell’algoritmo in sé, quanto nell’interfaccia conversazionale che ha abbattuto le barriere tra tecnologia complessa e utilizzo quotidiano. Invece di intimidire con grafici e codici, ChatGPT invita a una conversazione, semplice come scrivere a un amico su WhatsApp (e infatti è sbarcato anche sul sistema di messaggeria di Meta). La sua capacità di generare testi coerenti, rispondere a domande complesse, tradurre lingue e persino creare poesie ha fatto sì che milioni di persone sperimentassero per la prima volta il potere dell’AI generativa.

(A proposito: si scrive AI o IA? In italiano sarebbe intelligenza artificiale, quindi IA, però solitamente prendiamo le sigle dall’inglese, come PC che non vuol dire Computer Personale ma Personal Computer. La questione rimane aperta).

In ogni caso, a prescindere da come si scrive, il successo planetario dell’AI si identifica con quello dell’azienda di Sam Altman e ha catapultato OpenAI a una valutazione di 157 miliardi di dollari, con un ulteriore finanziamento di 6,6 miliardi raccolto nel 2024. La democratizzazione dell’accesso all’AI è una storia nota ma su questa scala non ha precedenti: strumenti che fino a pochi anni fa erano appannaggio esclusivo di università e grandi aziende tecnologiche sono ora disponibili a chiunque possieda una connessione internet. Eppure, dietro questa apparente democratizzazione si cela una nuova forma di dipendenza tecnologica, mentre le ramificazioni etiche, sociali ed economiche di questa rivoluzione restano largamente inesplorate.

Siamo tutti diventati inconsapevolmente beta tester di una tecnologia che potrebbe ridefinire il concetto stesso di lavoro intellettuale. Stiamo assistendo infatti a un esperimento sociale su scala globale, condotto senza le cautele che normalmente accompagnerebbero cambiamenti di questa portata. Ma come reagiremmo se scoprissimo che il nostro interlocutore virtuale preferito nasconde più di quanto rivela? Perché in effetti le cose stanno proprio così.

Il prezzo dell’intelligenza sintetica

La strategia commerciale di OpenAI segue il classico modello freemium: versione gratuita con limitazioni e versione Plus a 20 dollari mensili per chi vuole di più (e poi altre versioni a costi ancora più elevati). L’utente premium ottiene priorità di accesso nei momenti di traffico intenso, risposte più rapide e la possibilità di inviare fino a 80 messaggi ogni tre ore con GPT-4o. Si crea così una stratificazione dell’accesso all’AI, con una versione “base” per la massa e una versione potenziata per chi può permettersela. I prezzi aumentano con le versioni più potenti, che man mano vengono rilasciate, come GPT-5. La “gamification” dell’esperienza, con limiti di utilizzo e funzionalità esclusive, stimola l’upgrade verso l’abbonamento a pagamento.

I settori professionali più avvantaggiati dall’uso di ChatGPT Plus spaziano dall’informatica al marketing, dalla finanza all’educazione. Programmatori che si fanno aiutare nel debugging, copywriter che generano varianti di testi pubblicitari, analisti finanziari che analizzano e riassumono report complessi: tutti beneficiano di uno strumento che aumenta produttività e creatività. Ma il vero costo della versione “gratuita” non si misura in denaro bensì in dati personali, conversazioni e contributi inconsapevoli all’addestramento dei futuri modelli. Come Google prima e Meta poi, anche OpenAI monetizza i dati degli utenti. Solo che lo fa in modo diverso: non rivendendoli agli inserzionisti ma usandoli per alimentare l’addestramento del suo prodotto che, migliorando, vale di più.

Questa asimmetria nel valore scambiato solleva interrogativi sulla sostenibilità di un sistema in cui gli utenti sono sia consumatori che materia prima. Stiamo pagando in modi che non comprendiamo pienamente, alimentando una tecnologia il cui futuro rimane nebuloso. In questo scenario, la domanda non è più se l’AI cambierà il nostro mondo, ma chi controllerà questa trasformazione e a quale scopo.

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Rivoluzione AI, Il grande seduttore è ChatGPT che balla sul confine umano

I limiti dell’illusione perfetta

Dietro la facciata di onniscienza, ChatGPT nasconde fragilità sorprendenti che ne rivelano la vera natura: non un’intelligenza nel senso umano, ma un sofisticato sistema probabilistico. Le “allucinazioni”, ovvero la tendenza a inventare fatti e citazioni con assoluta convinzione, rappresentano il tallone d’Achille più evidente di questi sistemi. Un professore universitario che utilizzi ChatGPT per ricerche accademiche senza verifiche potrebbe trovarsi a diffondere informazioni completamente inventate ma presentate con l’autorevolezza di un esperto.

La memoria limitata impedisce all’AI di mantenere una vera coerenza nelle conversazioni lunghe, mentre la dipendenza dai dati di addestramento (saranno “buoni”? E fino a quando arrivano?) ne limita l’orizzonte conoscitivo. Ad esempio, GPT-3.5 conosce il mondo fino a gennaio 2022, GPT-4 fino ad aprile 2023: oltre queste date, brancolano nel buio. Questa amnesia temporale crea un’intelligenza artificiale che “non sa di non sapere”, incapace di distinguere ciò che ignora da ciò che conosce.

Il paradosso più affascinante è che quanto più questi sistemi sembrano umani, tanto più ne evidenziano i limiti rispetto alla nostra intelligenza. L’apparente naturalezza delle risposte maschera l’assenza di comprensione autentica, empatia e buon senso. È un sistema statistico che risponde seguendo una logica probabilistica, non un oracolo o una persona reale: mette una dopo l’altra le parole che statisticamente ci sono più probabilità che vadano in quella posizione. Non c’è un senso, né prima una comprensione. Come un attore consumato che recita un ruolo senza viverne le emozioni, ChatGPT simula una comprensione che non possiede realmente.

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Illustrazione Settimio Perlini con Adobe AI

La società al bivio

Il dibattito sull’impatto sociale dell’AI generativa si polarizza tra chi vede l’alba di una nuova era di prosperità e chi teme l’apocalisse professionale. I soliti apocalittici e integrati individuati da Umberto Eco mezzo secolo fa, insomma. La realtà probabilmente si collocherà in una zona intermedia, con trasformazioni profonde ma graduali. Interi settori professionali stanno già sperimentando cambiamenti radicali: noi giornalisti che competiamo con generatori automatici di notizie, i creativi che vedono le loro abilità di scrittura o design parzialmente automatizzate.

L’automazione intellettuale solleva questioni ancora più complesse di quella fisica: se le macchine possono scrivere, creare, analizzare, cosa resta di unicamente umano? La risposta potrebbe risiedere proprio in ciò che ChatGPT non sa fare: provare genuina curiosità, empatia autentica, pensiero critico originale. Il potenziale democratizzante dell’accesso alla conoscenza si scontra con il rischio di nuove disuguaglianze tra chi sa sfruttare questi strumenti e chi ne subisce passivamente gli effetti. Star Trek, la serie televisiva di Gene Roddenberry, aveva risolto il problema di una società dell’abbondanza assoluta, in cui i computer e i replicatori di qualsiasi cosa, dando agli esseri umani e alieni della Federazione scopi altissimi: esplorare il cosmo, fare arte o poesia.

Oggi i replicatori e le astronavi con i motori di curvatura non ce le abbiamo, e neanche fonti inesauribili di energia: dobbiamo fare con quel che abbiamo. La società si divide tra entusiasti che abbracciano il cambiamento e scettici che ne temono le conseguenze. Ma forse la vera saggezza sta nel rifiutare entrambi gli estremi per adottare un altro approccio, più sfumato: né tecnofilia acritica né luddismo nostalgico. In questa terra di mezzo si trova lo spazio per una riflessione autentica su come vogliamo che l’AI plasmi il nostro futuro collettivo.

Un finale aperto

Nelle prossime puntate vedremo altre aziende, altre tecnologie, altre prospettive di sviluppo. Perà sappiamo già adesso che ChatGPT rappresenta solo la prima ondata di una rivoluzione che promette di essere più profonda e pervasiva della rivoluzione industriale o di internet. Se quelle hanno trasformato rispettivamente il lavoro fisico e l’accesso all’informazione, l’AI generativa potrebbe trasformare il pensiero stesso, così come il computer e prima ancora la stampa a caratteri mobili o la scrittura a penna lo hanno cambiato. La prossima generazione di modelli GenAI sarà ancora più potente, più convincente, più difficile da distinguere dall’intelligenza umana.

La necessità di un approccio critico ma non ideologico diventa fondamentale in un contesto dove la tecnologia corre più veloce della nostra capacità di comprenderla pienamente. Regolamentare senza soffocare l’innovazione, proteggere senza isolarsi dal progresso: questa con tutta probabilità è la sfida che attende governi, aziende e cittadini. Il dibattito pubblico su questi temi non può essere delegato né ai soli tecnici né ai puri teorici, ma richiede una conversazione inclusiva e informata.

In questo primo finale aperto, in questa ricerca che abbiamo appena iniziato, una certezza emerge: il futuro dell’intelligenza artificiale sarà determinato non tanto dalla tecnologia in sé, quanto dalle scelte umane che ne guideranno lo sviluppo. Mentre ChatGPT continua a imparare dalle nostre parole, forse dovremmo anche noi imparare qualcosa da questa relazione inedita: che l’intelligenza, artificiale o umana che sia, acquisisce valore solo quando serve autenticamente al bene comune.

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