C’è una specie di rivoluzione in corso in Corea del Sud. Una rivoluzione avviata dalle famiglie, dai genitori dei bambini che vanno a scuola: dall’asilo fino all’università. Le madri in testa protestano e stanno mettendo a soqquadro quella che per altri versi è una società asiatica molto progredita e ordinata, in cui il dissenso si manifesta solitamente nelle sfumature e scivola tra una fila ordinata di pensieri e l’altra.
Invece, siamo arrivati allo scontro. La ragione sta tutta nel sentimento di crescente disagio e conseguente ira per le decisioni che il governo coreano sta prendendo nel settore dell’educazione. L’avanzatissima Corea del Sud, infatti, ha da sempre investito molto sulla tecnologia non come materiale da esportazione, bensì soprattutto e in primissima battuta come proprio stile di vita.
L’intelligenza artificiale come strumento
Samsung, LG e gli altri campioni coreani del settore non producono sempre e solo per l’esposrtazione, ma anche e soprattutto pensando al proprio mercato interno. L’arrivo dell’intelligenza artificiale è stato quindi salutato come una opportunità sia dalle grandi aziende che anche dalla pubblica amministrazione e dal governo.
Il Paese, come stanno facendo peraltro anche altre nazioni nel mondo, sta agendo per utilizzare l’intelligenza artificiale. E avvia i primi piani, visto che ormai sono passati alcuni anni e la ricerca tecnologica c’è. Questa azione ci interessa, qui dall’Europa e dall’Italia in particolare, perché il vantaggio nel muoversi dei paesi asiatici in generale e della Corea del Sud in particolare è un modo per capire cosa si può fare e con quali conseguenze anche da noi.
Conseguenze che oggi si vedono chiaramente e sono tutt’altro che positive, in questa fase.
Il piano coreano per la scuola
La protesta delle mamme di Seoul nasce dal piano che il governo ha avviato nella scuola per introdurre l’intelligenza artificiale. Perché il progetto non è tanto quello di insegnare l’uso dell’intelligenza artificiale (il tema che oggi regna sovrano nelle aziende e nei curricula formativi di molte università e scuole medie superiori europee) quanto di utilizzarla dentro la scuola.
Infatti, il ministro dell’educazione Lee Ju-ho ha detto che il suo progetto è quello di introdurre per tutte le classi e tutti i bambini, a partire dagli otto anni, dei tablet pieni di funzionalità di intelligenza artificiale, a partire da quelle che ad esempio vediamo nei telefoni e tablet Samsung di ultimissima generazione.
La svolta dell’AI in classe
Funzionalità di Intelligenza artificiale che il ministro dell’educazione ritiene che siano “fondamentali” per cambiare radicalmente il sistema scolastico coreano. Il quale, per dare a Cesare quel che è di Cesare, è tutt’altro che indietro. L’Ocse valida infatti il frutto del lavoro di tutti i sistemi scolastici del mondo con una serie di test per vedere quali risultati porta sugli studenti all’interno di un programma internazionale e la Corea del Sud risulta essere sistematicamente una delle migliori al mondo (l’Italia mica tanto).
Nonostante questo (o forse proprio per questo) il governo in generale e il ministro sono molto preoccupati che la Corea possa sedersi sugli allori e perdere il treno dell’innovazione che, come sappiamo, è sempre birichina e pronta a saltare di qua e di là, trasformando i vincitori in perdenti e rimettendo in gioco la palla per tutti a ogni cambiamento di paradigma. E l’intelligenza artificiale è un grandissimo paradigma che deve essere colto, pensano i governanti coreani, in maniera rapidissima. Come fare, quindi?
Come funziona il cambiamento
Il ministro ha dichiarato: “Siamo tutti d’accordo che dobbiamo allontanarci da un modello di classe in cui si memorizza in una direzione sola a uno spazio in cui gli studenti possano essere stimolati sempre e prendere il controllo del loro processo di apprendimento. Il 2025 sarà un anno chiave per questo cambiamento e dobbiamo sfruttare l’AI nei libri di testo per insegnare ai docenti a cambiare le loro lezioni”.
Questo in pratica vuol dire che tutti gli studenti avranno come insegnanti dei tablet “intelligenti” che potranno essere adattati dinamicamente alle esigenze degli studenti, quelli più veloci e quelli più lenti. E che il software dell’AI potrà capire in tempo reale contenuti ed esercizi calibrandoli sui differenti livelli e caratteristiche degli studenti per tutte le materie tranne che per musica, arte, etica ed educazione fisica. In pratica, la didattica la farà l’AI. E questo alle mamme di Seoul non piace per niente.
Quando è troppo è troppo
Le mamme (e i papà) coreani hanno visto in questo piano però un gigantesco errore e stanno reagendo in tempo reale. L’idea che sia l’AI a prendere il controllo dell’educazione dei loro preziosi frugoletti viene vista innanzitutto come una violazione di un patto sociale fondamentale della società moderna. Una rottura, in buona sostanza, della delega che le famiglie fanno nei confronti della scuola.
Il patto è che i genitori scelgono le migliori scuole dove trovano insegnanti preparati e capaci, che si prenderanno cura di coltivare la mente dei loro pargoli, trasportandoli dal regime familiare di relazioni, gioco e apprendimento di base, a un mondo più ricco e sofisticato che faccia sbocciare i giovani adulti e li renda competenti, capaci di evolvere e affrontare la vita, non solo in modo adulto e responsabile, ma anche con un bouquet di competenze adatte alla vita e al mondo del lavoro.
Tutto questo, dicono i genitori, non può essere affidato all’AI. Il patto prevede che sia la mano dell’uomo a toccare le delicate menti dei bambini e a modulare i segnali. Non un algoritmo o, peggio ancora, un sistema creato computazionalmente che non si sa neanche precisamente come funzioni. Sono le micro-decisioni che fanno la differenza e queste devono essere prese in maniera “sensata” e umana, non automatica e digitale.
Il supporto della scienza
Se da un lato sono la scienza e la tecnologia a spingere sul fronte delle AI per tutti e ovunque, dall’altro è un altro filone del mondo scientifico, quello delle competenze umanistiche, a mettersi di traverso assieme alle mamme di Seoul.
Vari intellettuali e studiosi coreani, tra i quali molti sociologi e psicologi, hanno infatti argomentato che la scelta del governo non va bene, e che sarebbe il caso piuttosto di assumere più insegnanti anche per le ore pomeridiane, capaci di aiutare e indirizzare i bambini e i ragazzi, anziché pensare di abbandonarli con “tablet intelligenti” che non solo propongono materiali preconfenzionati, ma addirittura li adattano e li cambiano in tempo reale per ogni singolo studente.
In maniera singolare, o forse no, a quanto pare a supportare il piano del ministro ci sono anche una buona parte degli insegnanti. Più della metà hanno dichiarato infatti che loro sono più che felici di ricevere l’apporto attivo dell’intelligenza artificiale come strumento non solo operativo ma anche strategico nella didattica. La Federazione coreana delle associazioni di insegnanti coreani ha infatti espresso un supporto piuttosto netto con più del 54% dei suoi iscritti chiaramente favorevoli alla mossa.
La mossa in controtendenza
C’è da fare una valutazione ulteriore, a prescindere dalla validità della mossa coreana, rispetto al momento storico nel quale viviamo. Ed è che in Occidente si sta affrontando il problema assolutamente opposto a quello della Corea del Sud: non si vuole aggiungere ma invece togliere tecnologia dalla scuola.
Dopo l’ubriacatura di tablet, lezioni a distanza, Teams e Google Meeting, con i bambini “schedati” fin dalle elementari dai loro account Gmail, con le LIM in classe e i diari online, le lezioni multimediali e tutte le altre cose che fanno rivoltare nella tomba come una turbina idroelettrica i resti della povera Maria Montessori, dalle nostre parti si sta estraendo la tecnologia dalle classi e non aggiungendola.
Ci sono i divieti di smartphone e smartwatch, c’è il ritorno del diario di carta e dei compiti fatti come Dio comanda, cioè sul quaderno e non sul tablet. Con la penna cancellabile e i colori. Un ritorno alle relazioni interpersonali in cui anche la mediazione tecnologica evapora e diventa solo una coloritura sullo sfondo dello sfondo della classe e non il colore primario.
Un finale per niente scontato
La domanda a questo punto diventa: chi ha ragione? Chi sta creando una opportunità e chi invece sta accumulando un ritardo sulla prima GenAI (intesa come “generazione AI” e non “Generative AI”) che un domani verrà pagato duramente?
È vero da un lato che dobbiamo reinserire l’elemento umano nella formazione di generazioni di bambini che oggi sono letteralmente a rischio di epidemia di disagi mentali a causa dell’uso e dell’abuso della tecnologia. E forse questo rischio l’abbiamo anche trasformato in realtà. Anche perché ad oggi nessuno può garantire che l’introduzione dell’AI in classe non introduca errori fattuali, informazioni false, plagi e metta anche a rischio le informazioni personali dei bambini.
D’altro canto, però, è vero anche che l’intelligenza artificiale genera una forte discontinuità e che questa discontinuità potrebbe forse giustificare una rimodulazione dell’uso della tecnologia in senso più strategico, con l’inserimento di nuovi elementi più plastici e dinamici che sino a questo momento erano impossibili.
Il Professor AI potrebbe essere un buon professore, insomma, capace di dare un senso all’uso della tecnologia “umanizzandola”. Oppure potrebbe essere un modo per tagliare le spese, licenziare i docenti (o non assumerne di nuovi) e risparmiare anche i sui libri di testo, “uccidendo” nel medio periodo il mercato editoriale scolastico, con buona pace di autori competenti sia nelle singole discipline che come pedagoghi. A pensar male si fa peccato, ma forse ci si azzecca. Chissà se la fulminante battuta di Giulio Andreotti vale anche dall’altro lato del mondo.
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