Un post su Facebook può rovinare la vita. Lo ha provato sulla sua pelle Kenneth Rothe, proprietario di due alberghi in Australia, che per una calunnia ha visto la sua carriera andare a rotoli.
L’episodio risale al 2014, quando un uomo di nome David Scott pubblicò un messaggio sul social network di Zuckerberg sostenendo che i due hotel Nirvana Village e Blue Dolphin Motels erano stati utilizzati da alcuni pedofili. Tali accuse, apparentemente infondate, avevano spinto Rothe a contattare Scott per ritrattare quanto pubblicato, ottenendo però soltanto un rifiuto.
Ma non solo. Il messaggio innescò una serie di azioni successive, a partire da telefonate anonime che minacciavano la sua vita fino ad arrivare alle mani, con un aggressione che portò il proprietario dei due alberghi al ricovero ospedaliero, costringendo lui e la sua famiglia ad abbandonare la zona.
Giustizia è stata fatta
Per sua fortuna la giustizia ha fatto il suo dovere. Il giudice Judith Gibson ha ritenuto le accuse infondate, richiedendo a Scott il pagamento di ben 115.000 dollari come risarcimento danni. Secondo il giudice «L’anonimato, l’instataneità e l’ampia portata di Internet e dei social media li rendono strumenti pericolosi nelle mani di persone che si vedono come vendicatori mascherati o informatori».