I ricercatori di Google hanno individuato una vulnerabilità che permette di rimuovere i watermark dalle immagini, i timbri digitali usati per proteggere il copyright.
Il problema del sistema usato da siti come iStock o Adobe Stock, starebbe nella natura coerente e ripetuta con cui i watermark vengono collocati nelle foto. In pratica il segno che marchia la foto può essere riconosciuto come un disturbo nell’immagine e in quanto tale essere corretto in maniera automatica, rimuovendo del tutto.
Ovviamente Google non vuole favorire la pirateria delle foto, ma “Come spesso si fa con le vulnerabilità scoperte in sistemi operativi, applicazioni o protocolli, vogliamo divulgare questa vulnerabilità e proporre soluzioni per aiutare le comunità ad adattare e proteggere meglio i propri contenuti e creazioni protette da copyright”, affermano Tali Dekel e Michael Rubenstein in un post sul blog. “Dai nostri esperimenti, gran parte delle immagini stock del mondo è vulnerabile”.
Cambiare la posizione o l’opacità di una watermark non influisce sulla capacità dell’algoritmo di rimuovere i watermark da immagini con protezione del copyright. La randomizzazione del watermark è invece la soluzione.
Nei risultati presentati alla conferenza Computer Vision And Recognition Pattern il mese scorso, si è notato che modifiche sottili a ogni watermark possono rendere più difficile la rimozione. Con watermark deformati, o riposizionati, i tentativi di sbarazzarsene con un algoritmo o un software di editing fotografico lascia segni evidenti, rendendo comunque inutilizzabile l’immagine e raggiungendo lo scopo che ci prefigge con l’applicazione del timbro: impedire che qualcuno usi senza permesso e senza pagare i diritti, una foto o un disegno semplicemente scaricandola da Intrernet
“Anche se non possiamo garantire che in futuro non ci sarà un modo per rimuovere gli schemi di watermark casuali, crediamo (e mostriamo nei nostri esperimenti) che la randomizzazione renderà gli attacchi di rimozione watermark fondamentalmente più difficili” concludono i ricercatori di Google.