Apple è disponibile al rimborso acquisti in app, almeno quando la richiesta arriva da chi si è visto spendere dalla figlia di otto anni 4600 euro e ha alzato un discreto polverone con la stampa del suo paese. Il fatto è accaduto i nGran Bretagna, paese dove risiede Lee Neale che ha la fortuna di essersi comprato un iPhone, ma la sfortuna di avere una figlia di otto anni con buona memoria e una passione per i cavalli virtuali.
Tutto è iniziato quando Lili, questo il nome della bambina, ha adocchiato il padre che immetteva la password nel suo iPhone per scaricare alcune applicazioni gratuite. Fissatasi in mente la password, la bambina ha cominciato a spendere e spandere in “accessori” per il gioco My Horse acquistandoli in app. In sei giorni il padre si è visto prelevare dal conto 2000 sterline per 74 transazioni che in un paio di mesi sono alla fine diventate in un paio di mesi 4000, anche con il contributo di altre app come Campus Life, Hay Day e il Villaggio dei Puffi. Solo quando la banca gli ha bloccato il conto il povero genitore si è reso conto che qualche cosa non funzionava e dopo avere interrogato la figlia, ha scoperto che erano proprio gli acquisti in app a determinare la situazione. A quel punto ecco la richiesta che ha fatto scattare tutto il meccanismo: una domanda di rimborso ad Apple. Da Cupertino è giunto il prevedibile “no” accompagnato da un consiglio a leggersi le regole dove si legge che «Lei non ha il diritto di recedere dalla transazione una volta che la consegna del prodotto è iniziata; da tale momento la transazione è definitiva». Lee non si è però rassegnato, passando al contrattacco attraverso la stampa britannica dalle cui colonne ha accusato Apple di insensibilità: «si tratta solo di una bambina che non ha ben presente il concetto di denaro. Ha semplicemente pensato che quel che stava facendo era gratuito e normale, come scaricare un’app».
Apple ha prima nicchiato e poi, messa sotto pressione dalla stampa e dall’opinione pubblica, ha deciso di rispondere alla richiesta. «Mi hanno chiamato un paio di giorni dopo l’apparizione della notizia e mi hanno detto che avevano deciso di rimborsarmi – ha detto Lee Neale a The Sun – e si sono anche scusati di avere dismesso la mia richiesta in maniera così frettolosa».
Il rimborso concesso al cittadino britannico non è il primo. Già in altre occasioni Apple ha rimborsato acquisti in app per cifre stratosferiche, operando eminentemente dopo che, come nel caso di Neale, la vicenda era apparsa sulla stampa e quando di mezzo c’era un bambino. Parallelamente Cupertino ha progressivamente stretto le maglie sugli acquisti in app, attuando procedure che riducono la possibilità di acquisti per errore o per distrazione, ma evidentemente nulla è utile quando si conosce, come nel caso della piccola Lili, la password per gli acquisti.
Qualche cosa di più però Apple potrebbe, però fare nel limitare la strategia di alcuni sviluppatori che creano applicazioni con acquisti in app che paiono essere fatte apposta per monetizzare vendendo oggetti virtuali ad un prezzo paragonabile a quello di prodotti reali. Un esempio è proprio il caso di Lili Neale; un esborso di 2000 sterline in 74 transazioni, significa avere speso mediamente 27 sterline a transazione, 31 euro; richiedere una simile somma per addobbare cavalli in 3D è giustificabile solo se lo sviluppatore punta a catturare la passione di bambini privi concetto del denaro e con la memoria di ferro sulle password e sul fatto che solo un genitore su decine di migliaia ha il coraggio o la necessità di denunciare un meccanismo che sta diventando (o forse è già) perverso e vizioso.