Richard Stallman, classe 1953, è il padre dell’open source, del free software. È un uomo dal carattere complesso, duro. E non è mai stato tenero con nessuno, neanche con se stesso. Paragonato a un integralista del software libero e quasi un tecno-luddista, è il primo attivista di un movimento che vuole liberare le persone dalla schiavitù di tecnologie che non si possono controllare e ha un blog in cui segna le cose di carattere politico o sociale che reputa interessanti.
Inevitabilmente, anche lui ha scritto di Steve Jobs. Sono parole dure, che trascriviamo integralmente. Ciascuno sarà in grado di leggerle e giudicare da solo che cosa significano e se le condivide oppure no. Per quanto riguarda il vostro cronista, si astiene dal commentare.
Steve Jobs, il pioniere del computer inteso come una "prigione resa figa", progettata per separare gli sciocchi dalla loro libertà, è morto.
Come ha detto il sindaco di Chicago, Harold Washington, del suo corrotto predecessore Daley, "Non sono felice che sia morto, ma sono felice che sia andato". Nessuno merita di morire - non Jobs, non Bill, neanche quelli colpevole di malefatte ancor più grandi delle loro. Ma noi tutti ci meritiamo che finisca l'influenza maligna di Jobs sulla libertà informatica del popolo.
Sfortunatamente, questa influenza continua nonostante la sua assenza. Possiamo solo sperare che i suoi successori, nel tentativo di portare avanti la sua eredità, siano meno efficaci di lui