Claudio Parmigiani, tecnico di Vodafone Italia che si occupa della analisi di qualità di rete, Gabriele Seleri, insegnante di elettrotecnica all’Itis Feltrinelli di Milano, e Gianfranco Albis, responsabile dei laboratori del Dipartimento di Elettronica del Politecnico di Torino. Sono loro i membri del team di esperti che negli scorsi mesi ha lavorato al progetto di riaccensione dell’Apple I andato in scena oggi nell’aula magna dell’ateneo torinese. Tre moschettieri uniti dalla passione per il retrocomputing e per l’elettronica, che sono riusciti a superare problemi tecnici che in passato avevano fatto desistere in molti dall’impresa, ma anche altre difficoltà legate al valore storico di quello che di fatto è il primo personal computer della storia e che è stato prodotto in solo duecento esemplari.
MONITOR E TASTIERE: PRIMO PROBLEMA
A dover essere affrontate anche le questioni più semplici: l’Apple I, di fatto, è solo un circuito stampato: niente case, ma soprattutto niente monitor e tastiera. «Il monitor CRT utilizzato è un normale videocomposito a standard NTSC, ci è stato prestato da uno dei più grandi collezionisti di televisori in Italia, Valerio Marchesi, dopo una piacevole chiacchierata sui requirement tecnici – spiegano i tre -. La tastiera è di tipo TTL, proviene da un Apple II e non è stata modificata». «Ho dovuto realizzare una breadboard di crossconnessione tra la piedinatura Apple I e quella “Apple II” e i relativi flat cables, oltre ad aggiungere un tasto esterno per la funzione di CLEAR SCREEN che non era mappabile sulla tastiera dell’Apple II senza tagliare qualche pista – aggiunge Parmigiani -. Confesso a che non è stata fisicamente collegata con l’Apple I non ho avuto la certezza che funzionasse correttamente, sebbene i test condotti con la piattaforma Arduino mi facessero ben sperare».
STEP PER STEP IL PERCORSO SEGUITO
Ma non è finita qui. L’Apple I – oltre ad essere un pezo rarissimo (e costosissimo) rappresenta il frutto di una tecnologia di tre decenni e mezzo fa: un’era geologica per l’informatica che ha richiesto non pochi accorgimenti extra. «Abbiamo proceduto per gradi – dice ancora Parmigiani -: prima abbiamo recuperato e studiato gli schemi elettrici per identificare gli elementi potenzialmente critici, successivamente ci siamo assicurati che tutti i circuiti fossero su zoccolo, e quindi rimovibili. Abbiamo poi comperato i trasformatori di accensione (anche se non sono stati usati per il warm-up), i connettori e quant’altro era necessario per rimettere il computer in funzione. Ci siamo procurati anche un certo numero di componenti e circuiti integrati di scorta, sia dell’epoca, sia più recenti. Abbiamo, infine, preso delle precauzioni come la protezione da ESD (Electrostatic Discharge) per la parte logica, e un ambiente “controllato e controllabile” per riattivare dolcemente lo stadio di alimentazione, il più critico a causa dell’inevitabile invecchiamento dei componenti».
Un lungo percorso reso più accidentato (e più interessante) dal fatto che l’Apple I non era pensato per essere una macchina chiavi in mano: era ancora soprattutto un oggetto per hobbysti. «Il problema principale che mi son posto è stato su chi avesse avuto tra le mani ai tempi la scheda e su cosa avesse potuto aver fatto ai circuiti – spiega Seleri -. Se tra vent’anni mi capiterà tra le mani un circuito dei giorni nostri potrò esser certo che nessuno l’avrà minimamente toccato: la tecnologia di oggi si usa così com’è e non da spazi a modifiche strutturali. Ma la tecnologia di vent’anni fa era ben diversa: nessuno l’acquistava per usarla, ma si “sperimentava”. E dietro la “sperimentazione” può celarsi qualsiasi cosa…».
LO STATO DI CONSERVAZIONE
Ma come, dunque, si presentava l’Apple? L’alimentazione era in ottima salute. Diverso il discorso invece per il transistor di amplificazione video che è stato sostituito, oltre che sofferente di un corto circuito sulle piste segno di una precedente riparazione mal riuscita. «Abbiamo anche trovato una RAM con un problema meccanico a un piedino – dice Parmigiani -. Inoltre era presente un integrato che non corrispondeva allo schema elettrico: un 7451 al posto di un 7450. Temevamo potesse trattarsi di una “finta riparazione”, ossia che qualcuno avesse sostituito l’integrato originale con uno “simile” per riempire lo zoccolo, analogamente a quanto riscontrato per il transistor video. Fortunatamente non era così: l’integrato, pur svolgendo una diversa funzione logica, non era usato per intero, e per la parte usata era compatibile. In queste fasi delicate la strumentazione che ci è stata messa a disposizione e il consulto con i docenti del Politecnico, in particolare con il prof. Franco Maddaleno, sono stati determinanti».
I PROBLEMI DELL’ANTIQUARIATO
Al di là di integrati “strani” e dei problemi della conservazione, grosse difficoltà sono arrivate dal reperimento delle componenti del ’76. «Quasi tutti i componenti della scheda sono ancora prodotti, ad eccezione delle memorie – dice Seleri -. Ma in una scheda di 35 anni fa non si possono sostituire, nel caso risultino guasti, i componenti con quelli attuali. E’ come aprire una tomba e trovarci il Faraone con un arto bionico… Per cui abbiam dovuto setacciare vari magazzini per cercar doppioni costruiti nella stessa epoca. Con gran difficoltà. In particolare per le memorie. Sono molto delicate e la tecnologia dell’epoca non prevedeva le protezioni di quelle attuali. Non più prodotte da anni, abbiam dovuto rivolgerci al mercato del collezionismo per averne una serie di scorta». Nessun problema, invece, per il software: l’interprete BASIC era già esistente su nastro. La traccia è stata semplicemente riversata nella scheda ed è stato scritto il programmino per la presentazione di oggi.
LA PASSIONE PER LA PRIMA MELA
Tecnica e logica per comprendere, riparare e rimettere in funzione. Ma anche tanta passione. He emozione è stata lavorare sulla macchian che ha avviato una rivoluzione? «C’è stato il rispetto e quasi il timore nel lavorare su una amcchina così importante. – dice Albis -. Non è a prima volta che mi occupo di progetti del genere, ma non con oggetti del genere. E soprattutto con un valore così alto». «E’ stato un tuffo nel passato – racconta Sleri – In quegli anni m’ero costruito pur io una macchina, basata sullo Z80, per poter apprendere le basi dell’informatica allora nascente. Ricordo ancora la gioia di quando riuscii a programmare la scheda trasformandola in un orologio digitale che segnava ore, minuti e secondi. Con meno di 1000 Bytes di programma assembler!». Per Parmigiani «è stato emozionante e coinvolgente. Apple-1 ha aperto un’epoca che stiamo ancora vivendo, segnando un cambiamento fondamentale nella storia dell’informatica personale.Fu prodotto per poco tempo e in pochissimi esemplari ma gettò le basi per la progettazione dell’Apple II che, come sappiamo, fu un successo planetario».
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