Re/code ha parlato con Alex Gibney, regista di “Steve Jobs: The Man in the Machine”, il recente documentario su Jobs non gradito dal management Apple. Il vice presidente senior di Apple Eddy Cue, a marzo di quest’anno, in un tweet non aveva gradito la visione scrivendo: “Non corrisponde allo Steve che ho conosciuto”.
Gibney, prende l’affermazione di Cue come un endorsement, e a suo modo di vedere il documentario è un contrappeso necessario ai troppi ritratti positivi fin qui tratteggiati dello scomparso leader di Apple. Anziché raccontare la solita storia della vita di Jobs, il film si concentra su alcuni aspetti della sua vita, momenti sui quali molti biografi non si sarebbero soffermati, come ad esempio lo scandalo della pratica di un sostanzioso pacchetto di stock options retrodatate a un produttore di Pixar.
Re/code scrive che Gibney mostra “un raro e affascinante” filmato di Jobs che si destreggia con i legali della SEC (l’ente statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori), in una deposizione del 2008.
Il regista spiega che dipendenti Apple non hanno voluto farsi intervistare e che con la figura di Jobs ha un rapporto un po’ combattuto arrivando a riconoscersi in alcuni aspetti del suo comportamento ma anche di essere anche inorridito dalla sua crudeltà e incapacità di tirare fuori se stesso, e vedere lui e la sua società in un contesto più ampio.
Il documentario si concentra su alcuni aspetti controversi come ad esempio la vicenda del prototipo di iPhone trovato in un bar e comprato da Gizmodo, una storia ritenuta “simbolica” per conoscere il carattere di Steve.