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Recensione MacBook 2016, il figlio del desiderio della mobilità

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A un anno esatto dalla prima versione, Apple ha lanciato l’aggiornamento del MacBook 12 pollici Retina display. Cambia pochissimo: la scocca rimane identica, ai tre colori (oro, argento, grigio siderale) si aggiunge una quarta tonalità “oro rosa” (molto elegante) e ovviamente cambiano i processori, la grafica e la prestazione della memoria sia Ram che SSD.

Chi scrive aveva provato la prima versione l’anno scorso e oggi, dopo una prima presa di contatto, si trova di nuovo a recensire il “piccolo” di casa Apple. Una macchina che aveva destato fortemente l’attenzione del pubblico all’epoca del suo lancio e che ancora oggi continua ad attirare l’attenzione. Non solo perché è il primo MacBook colorato e senza la mela luminosa (la modalità di lavorazione ricorda quella della scocca degli iPad, e lo spessore estremamente ridotto rendeva impossibile avere una mela a “doppio fondo” illuminata dal pannello LCD) ma anche perché continua ad essere una soluzione Mac alternativa ai MacBook Air, segnatamente al modello da 11 pollici.

Un anno fa scrivevamo: “È un computer unico anche per gli standard di Apple, che riesce a innovare in maniera decisa il percorso introdotto con i MacBook Air nel 2008 e poi con tutta la strategia dei MacBook unibody”. Un anno dopo il giudizio permane immutato: sempre e solo due “porte” di connessione (USB -C e mini-jack audio), ma con più accessori a disposizione.

Vediamo prima di tutto la differenze rispetto alla versione 2015 prima di parlare della nostra prova approfondita del nuovo “piccolo” di casa Apple.

recensione macbook 2016

Cosa cambia e cosa non cambia rispetto alla versione 2015

Le due versioni abbiamo detto sono identiche: 131 x 280.5 x 196,5mm con lo spessore che arriva al ragguardevole risultato di  3,5mm nella parte più sottile. Pesa sempre 0,92 Kg. La connessione rimane sempre quella USB-C sul lato sinistro ed è sempre presente il mini-jack audio su quello destro.

È identico all’anno scorso anche il display: 12 pollici LED con fattore di forma 16:10 e risoluzione 2304 x 1440 pixel (226ppi). Come l’anno scorso questo display è nettamente migliore e più performante rispetto al display del MacBook Air 11 pollici, che è il più diretto concorrente “interno” e che conviene tenere d’occhio quando si parla del MacBook 12″ Retina. L’Air ha uno schermo 11 pollici LED glossy con fattore di forma 16:9 e risoluzione1366 x 768 pixel e tecnologia IPS.

La scheda grafica integrata del MB12 (Intel HD Graphics 515) supporta una risoluzione esterna fino a 3840 X 2160 pixel a 30Hz oppure fino a 4096 X 2160 pixel a 24Hz. La videocamera frontale è a 480p, come la generazione precedente. Invece, la scheda grafica integrata del MBA11 attualmente in commercio (Intel HD Graphics 6000) supporta due monitor esterni fino a un massimo di 3840 per 2160 pixels via Thunderbolt.

Il chipset della scheda madre Intel del MB12 (basata sui processori serie “M”, cioè “mobile”) non ha il controller Thuderbolt e quindi non supporta questo tipo di connessione neanche attraverso adatattori USB-C. È possibile, con adattatori a arte, ottenere oltre all’uscita HDMI anche quella Mini-Display Port ma senza Usb e video (come dire: senza poter utilizzare la videocamera Facetime e l’hub Usb dei monitor Apple Cinema Display). La videocamera frontale è a 720p. La differenza si vede chiaramente.

Veniamo al processore: è una generazione differente (Skylake) rispetto a quella di lancio e quindi più che la velocità cambia l’architettura, il numero dei transistor e la loro efficienza di funzionamento. Per il modello di quest’anno potremo scegliere tra tre processori dual-core Intel Core M:  il modello m3 da 1.1 GHz con Turbo Boost da 2.2 GHz (l’anno scorso il Turbo Boost arrivava fino a 2.$ GHz) e il modello m5 da 1.2 GHz con Turbo Boost da 2.6 GHz. È poi disponibile, in fase di checkout per gli acquisti dal sito di Apple, una terza versione opzionale con processore 1.2 GHz m7 con Turbo Boost da 2.7 GHz-

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Come per l’anno scorso, l’accelerazione (su un singolo core) in caso di particolari richieste da parte delle applicazioni, è funzionale e integrata al sistema di “throttling”, di riduzione automatica della velocità del processore quando la temperatura e il modo di uso eccedono determinati parametri. È il modo con il quale Intel riesce a far funzionare i processori ad alta efficienza termica collocati in un involucro metallico e molto compatto (cosa questa che favorisce la dispersione del calore) senza bisogno di una ventola.

Il fattore di forma così “compresso” del MB12 è non solo una volontà estetica di Apple ma anche una necessità tecnologica dettata dai processori “M” di Intel, che prevedono di essere letteralmente avvolti e schiacciati dal metallo: plastica e aria impedirebbero una altrettanto efficiente dispersione termica.

La parte grafica è parimenti migliorata: qui forse ci sono risultati più di sostanza, come vedremo anche nella nostra prova. Si passa dal chip Intel HD Graphics 5300 alla ben più recente Intel HD Graphics HD 515 GPU. C’è un miglioramento di almeno il 25% e il vantaggio di avere la codifica hardware per i video H.265/HEVC (utilizzati adesso, per dire, da YouTube), cosa che rende ancora più efficiente e meno energeticamente penalizzante la fruizione di video.

Dal punto di vista delle memorie, sia di lavoro che di archiviazione, Apple ha lavorato sui bus: la quantità di RAM (8GB) e di SSD (256 GB per il modello di base e 512 GB per i due modelli di punta) non cambia, ma il clock della RAM passa da 1600Hz a 1866MHz LPDDR3 e questo si fa sentire, così come per lo storage, che è più performante.

La batteria passa da 10 ore di film su iTunes e 9 ore di navigazione web via WiFi a rispettivamente 11 ore e 10 ore. La batteria, pur occupando praticamente lo stesso spazio (oltretutto per Apple la vecchia e la nuova batteria sono interscambiabili come parti di ricambio) aumenta i watt-ora passando da 39,7 a 41,1, probabilmente grazie ad una diversa chimica. La durata nel mondo reale è ovviamente inferiore e, nel caso di questa macchina, anche sensibilmente, a seconda di quel che si fa. Nell’utilizzo di chi scrive generalmente arriva attorno alle 6-7 ore, con un proporzionale vantaggio rispetto al test dello stesso computer dell’anno scorso.

Quello che non cambia è il prezzo, che rimane sostanzialmente invariato ed è, inutile nasconderlo, il vero tallone di Achille di questa macchina, certamente carrozzata bene, con tanta memoria in uno spazio così ristretto e un display fenomenale, ma che presenta limiti che per qualcuno potrebbero non rendere giustificato il prezzo: una sola porta, niente uscita Thunderbolt, tastiera ultrapiatta diversa dalle altre, videocamera Facetime datata, trackpad virtuale con feedback “aptico”. Ma vediamo nella vita come funziona questo MacBook 12.

Partenza con un nuovo Mac

La macchina in prova di Apple, come avete visto anche nell’unpacking, è il modello base con processore da 1,1 GHz e 256 GB di memoria SSD. Abbiamo deciso di installare la macchina da zero, senza partire da nessun backup via Time Machine o altro. Nel flusso di lavoro di chi scrive vengono utilizzati tre dei principali serbatoi cloud di dati: iCloud (da 200 GB), Google Drive (da 100 GB) e Dropbox (da 1 Terabyte). Nessuna di queste memorie nel cloud è piena e il tempo di sincronizzazione non ha superato le sei ore.

In pratica, compreso il download delle app che abbiamo deciso di utilizzare  (parte scaricate da Mac App Store e parte dai siti dei produttori, più i Command Line Tools di Xcode, HomeBrew e una serie di programmi a riga di comando) ha richiesto relativamente poco tempo. I Mac, come gli iPad, quando stanno indicizzando una macchina nuova richiedono un po’ di tempo per portare a termine tutti i processo in background (soprattutto Spotlight) ma entro due giorni dalla prima accensione del MacBook 12 possiamo dire che l’apparecchio era perfettamente equilibrato e funzionante come ci si può immaginare che lavori nel suo utilizzo tipico. Da qui, per i giorni successivi, l’abbiamo utilizzato come unica macchina per tutto. Questo ha voluto dire utilizzare anche solo il monitor interno perché non abbiamo accessori a disposizione per collegarlo a un monitor o televisore esterni (né per collegare alcun tipo di apparecchio e accessorio).

Da questo punto di vista la prova che abbiamo messo assieme è quanto di più “puro” e isolazionista questo computer posssa immaginare. Per tutti i trasferimenti dati che non passassero dal cloud (cioè da Internet) abbiamo infatti comunque utilizzato collegamenti senza fili: WiFi, AirDrop, Bluetooth. In questo modo è stato possibile scambiare file con altri Mac, con iPad e con iPhone, con la macchina fotografica, con il ricevitore Bluetooth dello stereo di casa.

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Un aggiornamento che potenzia e che convince

La storia di questo MacBook 12, sia la prima che la seconda generazione, è quella di un computer non per tutti. È come una decappottabile britannica: ideale per gite in riviera con l’amica del cuore, inadatta ai traslochi o alle uscite con la squadra di calcetto a cinque. Semplicemente, non è lo strumento adatto, anche se ovviamente ci si può ingegnare a mettere un paio di persone sedute sul baule.

Per questo in questa prova non abbiamo neanche tentato di fare montaggi in Final Cut o rendering con RenderMan. E neanche a giocare a con l’ultimo Tomb Raider (che in realtà è il penultimo, se pensiamo a console o Pc, ma ci siamo capiti). Non abbiamo neanche lavorato con la suite di Adobe o con software particolarmente impegnativi. L’idea è che i MacBook 12 non sia il computer adatto per tutta questa serie di attività. Come avevamo già visto la volta scorsa, la struttura del sistema operativo e l’architettura dei Mac consentono di far funzionare sostanzialmente tutti i software nati per questa piattaforma. Il problema è che non sono pensati per questo tipo di macchina e funzionerebbero molto lentamente. Il punto non è che vanno piano, ma il miracolo è che comunque viaggino anche su un processore “mobile”. In ogni caso, i risultati non sono soddisfacenti per chi è sarà abituato ad usarli su differenti piattaforme hardware anche non recenti. Ed è naturale che sia così, dal momento che questo MacBook non è il vettore sul quale poggiarsi per raggiungere quel tipo di risultati.

Invece, questa è una macchina figlia del desiderio di mobilità. Un desiderio ancora superiore a quello che Apple era riuscita a incanalare con la coppia dei due MacBook Air 13 e 11 pollici. In quei due casi infatti l’azienda aveva creato due macchine davvero portatili, relativamente economiche e relativamente potenti. Soprattutto, con il modello da 11 pollici, Apple per la prima volta aveva raggiunto un delicato equilibrio di prestazioni, potenza e portabilità che consentiva e consente di portare il computer dentro la propria borsa anziché dover pensare a una borsa dedicata. Ci sono ovviamente molti altri sub-notebook e ultrabook sia prima che dopo la nascita dei MacBook Air, ma quello di Apple possiamo dire che abbia definito una categoria.

Quello che fa questa macchina nuova, il MacBook 12, è sostazialmente rifedinire l’idea di qualche anno fa. La riduzione di peso e dimensioni è abbastanza relativa ma comunque più che palpabile: tenere in mano questo MB12 è davvero più semplice che non un MBA11. E lo schermo vale l’avventura: è il pezzo forte del MacBook 12. La cosa che rende più difficile di tutte accettare di lavorare con un MacBook Air in genere. Infatti, lo schermo da 12 pollici retina surclassa abbondantemente quello del MacBook Air 12 pur avendo esternamente lo stesso fattore di forma, e dall’altro arriva a insidiare anche il MacBook Air 13 pollici, perché la luminosità e chiarezza sono superiori e il polliciaggio è solo leggermente inferiore. Da questo punto di vista il MacBook 12 può essere letto come un MacBook Air 13 nella scocca del MacBook 11: spazio senza compromessi e massima portabilità.

I compromessi arrivano con la potenza, la tastiera e l’autonomia. Vediamoli nel dettaglio.

La tastiera del MacBook 12

Apple ha fatto una scelta decisa: per riuscire a portare una riduzione minima ma tangibile all’altezza del MB12 ha deciso di cambiare modello di tastiera. Avevamo scritto l’anno scorso che in realtà i tasti a farfalla con escursione ridottissima e più larghi sono altrettanto fruibili di quelli a isola tradizionali (quelli usati sui MacBook Air e sui MacBook Pro, per intenderci) anche se richiedono un certo aggiustamento. Sono sicuramente precisi e puntuali nell’utilizzo, e la corsa breve induce a fare un po’ troppa forza, cosa che richiede un po’ di abitudine. Così come richiede una leggera rimappatura il fatto che la superficie dei singoli tasti sia leggermente superiore e la larghezza della tastiera leggermente superiore a quella del MacBook Air 11, per esempio. Da questo punto di vista, però, è veramente cosa da poco. Per scrivere sono comodi, la difficoltà è solo di “diteggiatura” e, per mantenere un paragone musicale, è più complesso cambiare chitarra elettrica o acustica che non passare dalla vecchia tastiera a questo. Per semplificare le cose adesso Apple ha aggiornato anche le sue tastiere esterne Bluetooth degli iMac con questo tipo di attuazione dei tasti (anche se meno spinta) e c’è da scommettere che presto la vedremo comprarire anche nelle prossime versioni dei portatili dell’azienda.

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L’autonomia del MacBook 12

La promessa di Apple è quella di aumentare l’autonomia. Perché la prima generazione del MB12 (2015) era il Mac portatile con meno autonomia. La missione è stata raggiunta, oppure no, a seconda del punto di vista.

Se non avete mai lavorato con uno dei Mac portatili che utilizzano le architetture Intel degli ultimi due anni, e i sistemi operativi più nuovi che sanno come utilizzarle (cioè come rallentare le parti del sistema operativo che consumano energia senza fare niente di utile), allora potete considerare il MacBook 12 come un computer con una grande autonomia. In realtà, avendo utilizzato anche altri Mac (dai Pro agli Air) di ultimissima generazione, l’autonomia reale del MB12 non impressiona troppo. Se anche in un ipotetico utilizzo molto limitato (solo web o solo film) il MB12 offre 10 o 11 ore di autonomia, nella quotidianità in realtà questo arco di tempo di utilizzo si riduce. E questo succede perché la batteria è veramente piccolina e tutto il miracolo di questo computer è basato sulla costante capacità di questa classe di processori di aumentare o diminuire velocità, consumo, potenza in modo estremamente dinamico. Un uso appena più spinto porta con sé un drastico taglio dell’autonomia: diciamo  sei-sette ore. Molto buono certamente, ma non rivoluzionario. Non è un computer con il quale si esce presto la mattina senza portare con sé il caricabatterie e pensando di rientrare dopocena. Per questo ci sono altri Mac portatili.

Il processore del MacBook 12

E qui veniamo alla parte più interessante. Apple ha aggiornato processore e grafica, potenziando soprattutto quest’ultima e pure in maniera significativa, per portare fuori tutto quel che non era riuscita a far fare alla precedente generazione di MacBook 12. E la missione è decisamente riuscita.

Un passo indietro. Abbiamo già detto almeno un paio di volte che il MacBook 12 si basa su una classe di processori di Intel che gioca con la frequenza di clock: aumenta o diminuisce radicalmente la velocità con la quale vengono processati i dati per fare in modo che la trasformazione dell’energia in calore non vada fuori da certi parametri. Questo vuol dire che non è necessario avere una ventola a bordo (la riduzione di frequenza di clock agisce da sistema di raffreddamento, grazie all’ottima conduzione del calore di questa macchina) ma non solo. Questa capacità di rimodulare la potenza energetica ha impatto anche sulla capacità di calcolo: il Turbo Boost è molto spinto in tutti e tre i processori (m3, m5 e m7, una divisione che comunque non è simmetrica se non nel nome e non ha niente a che fare rispetto a quella Core3, Core5 e Core7 dei processori desktop/portatili sempre di Intel) e questo rende molto difficile valutare la performance assoluta.

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In pratica, a seconda dei diversi “stati” della macchina interni ed esterni (che temperatura c’è nella stanza, che temperatura ha raggiunto la scocca e il processore, quali processi sono in corsi, quanto è carica la memoria) lo stesso applicativo gira con più di un Ghz di differenza. Può andare al massimo del Turbo Boost oppure andare sotto alla velocità base dichiarata del processore. Intel non dice fino a quanto rallenta né in quali condizioni esatte e non c’è ventola, per dire, che segnali empiricamente se il processore è affaticato e necessita di essere rinfrescato. Risultato: vari benchmark condotti sulla stessa macchina e su macchine diverse danno risultati sensibilmente differenti. Lo abbiamo notato anche andando a guardare la grafica di Geekbench 3, l’app che utilizziamo da tempo sia su Mac che su iPhone e iPad per avere una prima idea della “potenza bruta” dei computer.

Per aiutare a dare stabilità alle prestazioni e potenziarle da un anno all’altro, Apple ha portato ancora più avanti la tecnica utilizzata fin dal 2007 con l’introduzione del primo MacBook Air. In pratica: bus trasporto dati sempre più veloce, scheda grafica integrata sempre più performante (e sfruttata anche per calcoli delegati dal processore, quando non deve fare niente per la parte video), memoria RAM sempre più veloce, sostituzione del disco rigido con memoria SSD e potenziamento della sua velocità di funzionamento e del bus sul quale poggia.

Tutti questi accorgimenti hanno un impatto limitatissimo sulla potenza assoluta del processore (solo la possibilità di usare la GPU per parallelizzare il calcolo) ma nonostante tutto servono molto. E questo perché nel mondo velocissimo dei processi interni di un computer moderno il collo di bottiglia maggiore non è la forza bruta del calcolo ma l’attesa delle attività di I/O, input output, cioè il trasferimento dei dati da e verso il processore. Questo vuol dire bus di trasporto dati ma anche rapidità della memoria RAM o della memoria di massa (SSD in questo caso). Apple ha spinto più che poteva su questi aspetti e i risultati sono davvero significativi, ma con un asterisco.

Ecco, l’asterisco è che alcune cose vanno velocissime e altre molto piano: soprattutto perché alcune cose sono effettivamente velocizzate da un sistema di I/O più veloce (pensate al tempo necessario a caricare il livello di un gioco, o al tempo per caricare un database o salvare i risultati di un calcolo sequenziale prima di passare allo step successivo) mentre altre no. Nei casi in cui quello di cui c’è bisogno non è I/O più veloce ma forza bruta del processore, c’è il Turbo Boost che funziona ma si interrompe e viene fatto rallentare se la temperatura cresce troppo. Da qui i risultati che sono difficilmente replicabili per ogni misura degli stessi carichi di lavoro sullo stesso tipo di macchina.

L’usabilità è compromessa? No. L’utilizzo quotidiano di questo computer non ha dato nessun problema. È sorprendente, ma se si gioca al suo gioco (cioè non si cerca di aprire TIFF da 50 MB per applicare sei filtri diversi di Photoshop contemporaneamente) va alla grande. Web, mail, testi, video, qualche gioco, qualche app più massiccia. È un computer con parecchia RAM (8 GB non sono pochi e non a caso di serie) e quindi “tiene” parecchi servizi in memoria e molti dati, riducendo ancora di più la necessità di fare I/O verso il più lento SSD. È pensato per essere veloce in tutto tranne che nella potenza brutale del processore e questo si sente. È paradossale, ma non è il processore il suo difetto: casomai è l’autonomia ancora troppo ridotta.

E il fatto che ci sia una porta sola?

Ultimo aspetto da trattare (ma ne abbiamo già parlato abbondamentemente la volta scorsa) e il fatto che ci sia una sola porta USB-C per tutto, alimentazione completa.

Questa volta abbiamo sentito ancora meno il bisogno di agganciarlo a qualcosa. Perché, diciamocelo chiaramente, a meno che non vi diano chiavette USB tutti i giorni (e nel caso c’è un adattatore molto semplice e diretto), tutto il resto può passare per il cloud, per il WiFi, per il Bluetooth e soprattutto per AirDrop. Con l’iPad Pro, che diventa sempre più uno strumento di lavoro, il modo più immediato e veloce per passare foto e altri documenti è questo. Funziona, non ha problemi, si fa in un attimo. Secondo noi sarebbe ora che Apple togliesse il suffisso “Air” anche ai suoi Mac oltre che ai suoi iPad, dal momento che è scontato che tutti o quasi passi per “l’aria”.

In conclusione

Il MacBook 12″ va molto bene. È praticamente la risposta a chi vuole la leggerezza di un iPad ma senza rinunciare a un sistema completo basato su OS X anziché su iOS. È stato sicuramente un esperimento sul quale però Apple insiste e aggiunge. Il nuovo processore (e la grafica integrata) migliorano e migliora ancora di più con l’aiuto di I/O ottimizzato e più veloce.

Il piccolo ha personalità: bisogna abituarsi alle sue idiosincrasie, che poi sono semplicemente le differenze tecnologiche tra programmi che con processori più potenti diamo per scontate. Foto, soprattutto quando sta facendo upload in background di immagini, si prende qualche punto percentuale di CPU. Il browser poco, consuma di più la WiFi attiva. E se usiamo una VPN per protezione del traffico dati (che praticamente viene crittato al volo in entrata e in uscita), a sorpresa non si aggiunge praticamente nessun carico di lavoro sensibile.

Quando lavora, Dropbox si fa sentire, mentre il sistema di indicizzazione di Spotlight, che poi è una delle variabili sotterranee più incontrollabili di OS X, quando decide di partire (cosa che nei primissimi giorni di vita di una macchina nuova con installazione generosa di dati e applicativi, come abbiamo detto, capita sovente a intervalli imprevedibili) ha un impatto consistente sul processore e sulla batteria.

Quando parte il “throttle down” della CPU? Ci vorrebbe uno sviluppatore che faccia una utility dedicata, magari che illumini una piccola icona a freccia quando c’è overboost e quando invece la velocità viene artificialmente abbassata per questioni termiche. Per adesso però la questa utility non c’è e quindi è veramente difficile dire cosa succede. Senza contare infatti che il sistema operativo di Apple è complesso, pieno di cose che funzionano in background o di processi e carichi di lavoro che vengono rallentati o fermati quando non servono. È la bellezza di un sistema in equilibrio piuttosto stabile, ma che rende una analisi solamente quantitativa monodimensionale e lineare difficile da fare.

In conclusione, come va il nuovo MacBook 12? Molto bene, meglio del suo predecessore anche se non è un aggiornamento che cambia la vita a chi prima usava la versione 2015. Non c’è bisogno in quel caso di passare al nuovo modello 2016. È un aggiornamento, che segue l’evoluzione della tecnologia. Il concetto che c’è dietro però è sempre più convincente e funzionale. Intel con le prossime generazioni dei processori M e relative schede madri e chipset introdurrà anche la parte Thunderbolt (probabilmente) e quindi è un settore destinato a crescere.

Il prezzo è il vero ostacolo, non ce lo nascondiamo. Perché un posizionamento attorno ai mille euro renderebbe questa macchina estremamente popolare. Considerando le cose sub-standard che ha: durata della batteria non all’altezza degli iPad e dei MacBook Pro e Air; videocamera frontale da 480p (non perché siano pochi in assoluto, ma perché con questo prezzo e con l’esistenza di un blocco sensore/videocamera a 720p sia nell’Air che negli iPad, sembra una presa in giro).

Il resto va decisamente bene: abbiamo trovato comoda la tastiera (anche se bisogna assicurarsi di avere le unghie tagliate, se si picchietta molto perpendicolarmente e meno di polpastrello), decisamente spettacolare lo schermo, sorprendentemente buona la potenza (processore, parte grafica e prestazioni complessive) per quello che è il target di questa macchina (attività leggere in mobilità, non sostituto di computer fisso) e abbastanza poco rilevante la mancaza di porte dedicate.

Chi scrive utilizza un MacBook Air 11 (a cui questa macchina è superiore per più cose di quante non sia inferiore) e la mancanza di uno slot per SD card è già stata notata e superata da tempo. Vivere senza fili è più un modo di pensare che non una reale esigenza. Due o tre adattatori (costosi) o un dock leggero da viaggio e un dock per casa più strutturato? Sì ma anche no: se guardiamo a quante volte agganciamo qualcsosa di fisico direttamente al nostro MacBook Air 11 pollici dobbiamo dire che non è giustificabile avere tre o quattro o cinque o sei porte di connessioni varie.

Bisognerebbe però che il farne a meno venisse ripagato con un prezzo più contenuto, una maggiore autonomia e una linea più filante. Purtroppo questo MacBook 12, ottima versione rispetto alla precedente, delle tre cose che potrebbe darci ne consegna una sola, cioè la linea più filante. Il prezzo aumenta e l’autonomia non raggiunge il resto della linea.

Il MacBook 12 è in vendita, oltre che nei negozio Apple e tutti gli APR, anche su Apple Store on line ad un prezzo di ingresso di 1.499 euro per la macchina che abbiamo provato; 1.829 euro per quella con processore da 1.2 GHz e 2.009 euro per quella da 1.3 GHz.

Design: 5 | Facilità-d’uso: 5 | Prestazioni: 4 | Qualità/Prezzo: 3.5

Pro

  • Design industriale ineguagliato
  • Perfetto per le esigenze di viaggio
  • Schermo eccezionale
  • Prestazioni adeguate al target cui si rivolge

Contro

  • Prezzo importante
  • Autonomia solo nella media
  • Videocamera frontale molto limitata

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