Nel corso di 22 anni Apple ha messo insieme una sequenza di prodotti di successo planetario o comunque estremamente influenti che nessun’altra azienda, a memoria d’uomo, è riuscita a fare.
A partire dall’iPod alla fine del 2001, presentato poche settimane dopo l’11 settembre. Poi iTunes e lo store della musica, che ha rivoluzionato i modelli distribuitivi, a cui ha fatto seguito l’iPhone nel 2007, l’iPad nel 2010, le AirPods (le cuffie senza fili le cui vendono valgono da sole un’azienda delle prime 500 negli Usa) e infine l’Apple Watch.
Ma si potrebbero aggiungere altri due prodotti altrettanto importanti: la serie infinita di iMac, che hanno rilanciato l’azienda a partire dalla fine degli anni Novanta e definito un modo per intendere l’informatica come “elegante” e capace di arredare le case, e il MacBook Air che ha creato un’intera categoria (quella degli ultrabook) e ha “motorizzato” tre generazioni di studenti e nomadi digitali, democratizzando il computer portatile potente, a lunga autonomia e ultraleggero, che prima non esisteva. C’erano infatti solo o i netbook, economici ma molto limitati, oppure i portatili sottili e potenti (stile i primi Vaio di Sony) ma con poca batteria e molto costosi.
Un successo senza pari
Quale altra azienda ha infilato una serie di successi di questo tipo? E lasciamo perdere gli altri settori legati ai servizi (da iCloud alla Tv), che oggi sono una delle principali fonti di fatturato di Apple, oppure gli Apple Store fisici, che sono un prodotto a tutto tondo: pensati, costruiti e ottimizzati per fornire un’esperienza all’altezza dei migliori prodotti e sono spesso vere e proprie opere d’arte architettonica moderna, monumenti iconici e templi al minimalismo e al “less is more”.
Poche? Pochissime? Certo. Ma si capisce di più se ribaltiamo il discorso: uno o due prodotti rivoluzionari al massimo bastano a garantire successo e fama imperitura per qualsiasi azienda. Apple ne ha azzeccati nove. Inaudito. La domanda però: riuscirà ad azzeccare anche il decimo?
Il bisogno del successo
Apple sta preparando il suo visore per la realtà aumentata indicato con il nome provvisorio (o definitivo?) Reality Pro. Forse anche l’auto elettrica a guida autonoma. A proposito: nella lista non abbiamo indicato CarPlay, che è il cruscotto smart di maggior successo per collegare telefono e automobile, e che potrebbe crescere in maniera radicale nel prossimo futuro, Tesla e General Motors permettendo.
Dicevamo: l’auto elettrica, della quale non si hanno più tante notizie in questo periodo se non quando qualcuno viene incriminato e condannato per aver rubato segreti industriali per la ricerca. Chissà cosa succederà su questo fronte dove i big del settore tradizionale del motore termico stanno “agganciando” i precursori dell’auto elettrica a guida autonoma, a partire appunto da Tesla.
Invece, adesso si parla meno di metaverso, la grande scommessa sulla quale Mark Zuckberg si sta giocando Facebook/Meta e sulla quale a cascata milioni di aziende e organizzazioni hanno cominciato a investire. Si parla invece di intelligenza artificiale, come sappiamo, che ha gettato un cono d’ombra anche su altri temi fondamentali (cybersicurezza, criptovalute, blockchain, internet decentrata P2P) e sta risucchiando tutte le risorse.
Com’è fatto il successo?
La domanda, a pochi giorni dalla presentazione di Apple per la WWDC che si terrà il prossimo 5 giugno e durante la quale verranno annunciati e fatti vedere i visori di Apple, secondo tutti gli osservatori sicuramente due e sicuramente molto costosi, è un’altra. Come farà Apple ad avere un prodotto di successo anche qui?
Tutti si aspettano da Tim Cook che il risultato sia rivoluzionario e che i visori di Apple vivano un “momento iPhone”, cioè siano capaci di creare grandissima attenzione e curiosità da parte del pubblico affermandosi rapidamente come oggetti in grado di definire la categoria definitiva ed essere un nuovo bastione dell’innovazione. Ma sarà così? Come farà Apple a farlo? E cosa succederà se non ci riuscirà?
La chiave del successo
Per riuscire a emergere, il visore di Apple dovrebbe in teoria rispondere almeno a un grande bisogno. Ai tempi di Steve Jobs questi grandi bisogni erano pensati in anticipo, selezionati e organizzati. Per ogni “sì”, diceva Steve Jobs, bisogna dire molti “no”. Ecco dunque che l’iPhone serviva come iPod, come telefono e come strumento per collegarsi a internet, ecco dunque che l’iPad nasceva come strumento per produrre e consumare contenuti. Ciascuno di questi apparecchi nasceva con l’idea di essere migliore degli apparecchi simili ma di categorie diverse che mirava a sostituire.
Per la strategia nell’epoca attuale, quella di Tim Cook, e lo si è visto chiaramente con Apple Watch, l’approccio invece è cambiato. Lo scopo dell’Apple Watch era proporre un catalogo di usi possibili, sia tecnologici che di posizionamento. Apple Watch come gioiello (il modello della prima generazione in oro) e Apple Watch come dispositivo capace di fare tutto (le app e le mille funzioni proposte). Il mercato poi ha votato e lentamente l’Apple Watch è diventato altro, cambiando forma solo con la recente incarnazione di Ultra, ma è tuttavia rimasto uguale a se stesso. È diventato in maniera impercettibile (bisogna mettere le vecchie generazioni accanto alle nuove) un po’ più grande e quindi leggibile, e si è trasformato in uno strumento per le notifiche, per la salute e il fitness, per la sicurezza personale.
L’Apple Watch Store è quasi irrilevante e in futuro Apple sembra che voglia tornare a un approccio basato su widget e non più centrato sulle app. Tim Cook, insomma, ha lasciato che parte del lavoro di evoluzione e selezione venisse fatto dal mercato senza però sbagliare esagerando e creando una pluralità di apparecchi diversi, come fanno i concorrenti cinesi, che cercano di saturare il mercato per vedere cosa funziona e cosa no in maniera eccessivamente articolata.
Il successo ha un futuro
Il futuro del successo del visore di Apple? Secondo la Apple di Tim Cook è quasi sicuramente questo: proporre una serie di usi possibili senza esagerare nel numero di varianti, contando sul costante miglioramento tecnologico che permetterà di avere una seconda generazione più economica e più avanzata della prima che sta per arrivare (ad esempio, meno costoso e con la batteria interna e non separata dal dispositivo). Poi, Cook conta soprattutto sulla incredibile agilità di Apple, capace di cambiare rapidamente direzione per continuare a migliorare i buoni prodotti che lancia rendendoli ottimi tramite le successive iterazioni. Un percorso di crescita programmata che è il naturale proseguimento dell’investimento fatto per la ricerca e sviluppo.
Questo cosa vuol dire? Secondo noi vuol dire che i visori di Apple potrebbero aver successo per un motivo diverso da quelli che oggi i commentatori cercano di analizzare e indovinare semplicemente perché neanche Apple scommette su un particolare tipo d’uso. Invece, l’azienda si presenterà al mercato pronta a tutto, con un apparecchio che sarà multi-uso e agile. Verrà criticato per quello che sarà considerato inadatto o inopportuno soprattutto da parte degli osservatori, degli analisti e della stampa, ma sarà in realtà il mercato a trovare e votare le funzioni che vorrà.
Seguendo questa idea, Apple ascolterà e sarà sufficientemente agile da fare in modo che le successive iterazioni dei visori andranno incontro a questi bisogni che si coaguleranno attorno alla tecnologia, interagendo e modificandola profondamente, come è accaduto con l’Apple Watch, ma senza stravolgerla o snaturarla.
A scegliere saranno gli utenti, insomma, sulla base di un menù proposto da Tim Cook (tutto sul CEO di Apple qui), che si ritaglia il ruolo di gran cuoco della tecnologia, grazie anche a una cucina estremamente agile e rapida nel preparare cambiamenti anche importanti alle pietanze che stanno per essere impiattate. Vedremo presto come andrà.