C’è un vecchio detto di uno scrittore di fantascienza molto amato e purtroppo scomparso troppo presto: Douglas Adams. Lo scrittore della Guida galattica per autostoppisti diceva: “Tutto quello che viene inventato quando avete tra i quindici e i trentacinque anni è nuovo, eccitante e rivoluzionario e probabilmente ci costruirete sopra la vostra carriera. Qualsiasi cosa inventata dopo i vostri trentacinque anni è contro l’ordine naturale delle cose”.
È vero, ma ci sono in parte anche delle eccezioni. Una di queste è l’iPhone, che è stato presentato da Steve Jobs a San Francisco durante il MacWorld esattamente quindici anni fa.
Un tuffo nel passato
Pochi giorni fa scrivevamo della fine del supporto ai “vecchi” Blackberry, quelli con Blackberry OS e la tastiera: la fine di un’epoca e soprattutto di un certo mondo della email in mobilità. In passato avevamo scritto cose simili relative a Symbian, il sistema operativo multitasking scelto da Nokia nei primi anni duemila. E si è parlato spesso della fine della divisione telefonia di Motorola, acquistata da Lenovo, e delle trasformazioni di decine di società che lavoravano alla produzione di telefoni e componentistiche. Oppure della “miracolosa” trasformazione di Android, che nelle versioni preliminari era un sistema operativo molto “legnoso”, pensato stile Symbian per dispositivi con tastiera fisica. E come non ricordare la fine delle ambizioni di Palm e poi di Handspring?
Tutto questo non fa parte del normale scorrere del business e dell’evoluzione della tecnologia, e di solito accade in maniera lenta e filtrata: ci sono tanti piccoli passaggi e solo guardandosi dietro alle spalle, “unendo i puntini” (per citare ancora Jobs) si scopre che emerge un disegno e che c’era una ragione di tutti questi cambiamenti. In realtà, per quanto riguarda quello che dicevamo sopra, ci troviamo di fronte a un caso molto più raro ma estremamente interessante. C’è un singolo momento, tutt’altro che simbolico e rituale, in cui è saltato tutto quanto e la storia della telefonia mobile ha preso una direzione completamente differente, portandosi dietro una evoluzione che forse, se le cose fossero progredite in maniera più progressiva e avessimo ancora i monopolisti di un tempo (Nokia e Motorola, per esempio) non sarebbe accaduto.
Quel momento è Steve Jobs che sul palco del Moscone Center gioca con il pubblico in sala dicendo che sta presentando tre nuovi prodotti: un iPod, un tablet e un telefono. E poi svelare che si tratta di una cosa sola: l’iPhone. Dopo quella presentazione sono successe tantissime cose, e se anche si è parlato di molto di quello che è successo prima (il progetto, il lavoro dei team per la creazione prima di un tablet e poi dello smartphone, la strategia nata dal desiderio di superare l’accordo con Motorola per il tremendo telefono Rokr E1, l’esperienza accumulata con sei anni di iPod, il ruolo dei vari leader all’interno di Apple) ma si dà quasi per acquisito quello che è successo dopo.
Viviamo nel mondo dell’iPhone
La più grande trasformazione di Internet dopo il suo avvento e la nascita di servizi cloud e interattività (il web 2.0) è la rivoluzione della mobilità. Si viaggia in un mondo in cui vive il concetto di “mobile first”, prima vengono le cose che stanno sui telefonini e poi i servizi web tradizionali e il resto. Lo sappiamo, e ci sono una miriade di telefoni Android e altri tipi di dispositivi oltre agli iPhone che ci fanno pensare che questo mondo sia lo stato naturale delle cose. Dopotutto, un bambino nato nel momento in cui Steve Jobs presentava l’iPhone oggi ha l’età per usarlo e magari glielo hanno anche regalato. La tecnologia è data per acquisita.
Il punto è che questa intera trasformazione poggia su quel momento e quella presentazione. Android, che era già stato impostato, è stato rivisto a causa del “tradimento” del mefistofelico Eric Schmidt, all’epoca Ceo di Google oltre che ex Sun Microsystems e Novell, voluto da Larry Page e Sergei Brin per far decollare l’azienda che i due non avevano l’esperienza per trasformare nell’attuale spietato colosso. Schmidt era anche nel consiglio di amministrazione di Apple e i due erano in costante contatto. Quella capacità di “vedere” cosa succedeva dentro Apple da parte di Schmidt è stata la leva, insieme ad altra “intelligence”, per cui Android si è trasformato da sistema operativo per telefoni tradizionali (tipo Symbian) in un anti-iPhoneOS. E non solo.
Come scriveva il comunicato pubblicato quando Schmidt ha lasciato il consiglio di amministrazione di Apple:
“Eric è stato un eccellente membro del consiglio di amministrazione di Apple, e ha investito tempo prezioso, talento, passione e saggezza per contribuire al successo di Apple”, ha affermato Steve Jobs, CEO di Apple. “Purtroppo, poiché Google entra in competizione in un numero sempre crescente di attività principali per Apple, con Android e ora Chrome OS, l’efficacia di Eric come membro del consiglio di amministrazione di Apple viene ad essere notevolmente ridotta, poiché dovrà ritirarsi da porzioni ancora più ampie delle nostre riunioni a causa di potenziali conflitti di interesse. Pertanto, abbiamo deciso di comune accordo che ora è il momento giusto per Eric di rassegnare le dimissioni dalla sua posizione nel consiglio di amministrazione di Apple”.
Arrivederci e tanti saluti.
L’eredità di quel giorno
Stiamo vivendo dunque un giorno iniziato quella mattina al Moscone Center. Un giorno in cui l’informatica è cambiata: è finita l’epoca dei Pc ed è iniziata l’epoca degli apparecchi Post-PC. È iniziata una nuova economia, quella dei dispositivi mobili, che hanno a loro volta permesso da un lato la creazione della App Economy, con gli store, ma anche la API-Economy, la trasformazione e personalizzazione dei servizi grazie al cloud ma soprattutto grazie alla geolocalizzazione dei telefoni, e l’apertura di una nuova disponibilità di informazioni tramite un flusso costante di dati che ha radicalmente rivoluzionato il mestiere delle compagnie telefoniche ma ha anche permesso la nascita di nuovi social media estremamente aggressivi (da Instagram a Twitter), e la sopravvivenza del più spietato di tutti loro, cioè Facebook che pochi oggi ricordano ma fece una trasformazione straordinaria per diventare da sito web per desktop una app potentissima e ancora più chiusa.
Stiamo vivendo un’epoca che è stata concepita in pochi anni da un pugno di innovatori, guidati da quello stesso uomo che un quarto di secolo prima aveva creato il primo personal computer con l’interfaccia a finestre (il Macintosh) e poco meno di dieci anni prima aveva fatto nascere l’azienda che ha messo in produzione il primo personal computer prodotto in serie per le masse (l’Apple II).
Stiamo vivendo un’epoca che ha iniziato una trasformazione incredibile, favolosa per chi ha avuto l’opportunità, a causa della propria età, di viverne le varie fasi. Chi ha visto la commercializzazione degli Apple II e degli altri computer ha capito che sarebbe stata una cosa nuova, eccitante e rivoluzionaria. E ha potuto costruirci sopra la propria carriera. E adesso, pensando a quindici anni fa, chi ha visto di nuovo la rivoluzione degli iPhone ha potuto reinventarsi con il nuovo e coraggioso mondo mobile, senza mai pensare che questo sarebbe andato contro l’ordine naturale delle cose, a differenza di quanto hanno fatto quelli di Nokia, Motorola, Blackberry e vari altri che volevano un altro tipo di rivoluzione o addirittura hanno sognato una restaurazione dell’antico regime delle tastiere.
Per tutti gli anni, l’epoca della “mobility”, dei “Post-PC Device”, è naturale e contemporanea. Solida come il terreno sopra il quale camminiamo e il cielo stellato che nelle città ormai non si può più vedere. Tutto questo però ha avuto un inizio, agli occhi del mondo durato un’ora, durante uno dei più importanti keynote della storia della tecnologia e dell’economia contemporanea.