Ci fu un tempo in cui Telecom Italia viveva – al contrario di oggi – in un’era in cui tutto quello che toccava diventava oro, durante il quale il flusso di cassa e il suo valore erano tali da spingere i manager dell’azienda a immaginare di comprare Apple.
Di quell’episodio, poco conosciuto, si parla in un interessante articolo Fortune a margine di un approfondimento sul tortuoso percorso che Telecom dovrà compiere per provare a rimettere in sesto i suoi bilanci.
Correva l’anno 1998; protagonisti della vicenda, da una parte Marco Landi e dall’altra Steve Jobs. Landi conosceva non solo bene ma benissimo Apple per esserne stato Chief Operating Officer (l’incarico che successivamente ricoprì Tim Cook prima di diventarne CEO) e presidente.
Landi, in quel momento consigliere di amministrazione di Telecom, aveva lasciato Cupertino appena un anno prima (la sua vicenda in un’autobiografia) e dunque vantava ancora molti contatti nella sua ex azienda. A lui venne affidato l’incarico: organizzare un incontro con Steve Jobs al quartier generale di Apple in California per discutere di una proposta di acquisto elaborata dal direttore generale Telecom, Francesco di Leo e sostenuta dal presidente Gian Mario Rossignolo.
I manager italiani non erano affatto preda di un delirio. In quegli anni il valore di mercato di Telecom, come ricorda Fortune, era di 100 miliardi di dollari, aveva un debito residuale, era azionista di decine e decine di gruppi e aziende hi-tech nel mondo, vantava 120mila dipendenti ed il sesto posto al mondo nelle imprese nel campo delle telecomunicazioni.
Apple da parte sua era ancora in uno stato di pre-liquidazione. Reduce dal periodo sfortunato degli anni di Spindler e poi da quello fatto di tentativi di riduzione del debito e di errori strategici di Amelio, valeva venti volte meno di Telecom, solo 5 miliardi di dollari ed era ancora bollata da molti, compresa una iconica copertina di Wired (“Pray”, pregate, diceva il titolo…) come azienda decotta e in definitiva spacciata o in alternativa a recitare un ruolo subalterno e residuale.
Nonostante questo, la proposta di Telecom venne respinta da Jobs, tornato in Apple due anni prima, con la giustificazione che c’erano trattative in corso con altre realtà. I manager italiani tornarono a casa con le pive nel sacco. Poco dopo i manager della compagnia telefonica dovettero occuparsi a loro volta di un’acquisizione, quella organizzata da Roberto Colannino, deciso a conquistare il controllo di Telecom, passata alla storia come la scalata ostile di maggior portata a livello europeo.
Da quel momento per Telecom è iniziato un periodo turbolento che continua ancora oggi e che viene descritto nel resto dell’articolo di Fortune. L’azienda italiana fattura 16 miliardi di euro contro i 26 miliardi del 2012, e allo studio c’è la possibilità di cedere la rete fissa per riportare in equilibrio i conti. Questo accade mentre la private equity KKR&Co, forse in società con un fondo di Abu Dhabi, ha presentato un’offerta di acquisto per il valore di 23 miliardi di euro.
Apple invece in quello stesso anno in cui respinse l’offerta di Telecom presentò l’iMac, universalmente riconosciuto come il prodotto che ha segnato la rinascita dell’azienda di Cupertino e, forse, il prodotto più importante della storia imprenditoriale della Mela dopo l’iPhone. Soprattutto Apple oggi vale 500 volte Telecom Italia.
Sarebbe andata così se quel giorno del 1998 Steve Jobs non avesse declinato l’offerta Telecom – forse bluffando – con la scusa di essere già in accordo con qualche altra azienda?